Prosegue l'interesse per la nota sulla 'ndrangheta
Grande attenzione non solo da parte di giornali e pagine web, ma anche delle riviste "Il Regno" e "La civiltà cattolica".
Dodici pagine dalla forza dirompente. Parole decise, chiare, inequivocabili. Ragionamenti capaci di andare oltre l’espressione scritta per diventare storia. Parliamo della nota pastorale sulla ’ndrangheta, “Testimoniare la verità del Vangelo” redatta dai Vescovi calabresi e letta con grande interesse dai fedeli e dai cittadini della nostra Regione (e non solo) anche a distanza di quattro mesi dalla sua divulgazione. Continua a suscitare grande interesse per l’analisi veritiera, per l’incoraggiamento a combattere ogni forma di “inequità” sociale finalizzata a consentire anche in maniera subdola la formazione e diffusione di una mentalità mafiosa. Il punto di partenza dei nostri Vescovi è il discorso omiletico pronunciato da papa Francesco durante la santa messa sulla spianata dell’area di Sibari, il 21 giugno 2014. Un passaggio dell’omelia è posto in fatti in esergo alla nota accanto a una citazione dell’Evangelii Gaudium sulla pietà popolare (n.126). Incisiva è stata la riflessione dei nostri Vescovi calabresi che già nel luglio 2014, a Paola, durante una sessione straordinaria della CEC, ribadivano come «la ‘ndrangheta è negazione del Vangelo». E ancor prima nell’aprile, a Catanzaro, sottolineavano la necessità di «approfondire il tema dell’azione pastorale della Chiesa contro la ‘ndrangheta in vista di un impegno più specifico»; e si dichiaravano pronti a introdurre negli istituti teologici e di scienze religiose un corso sul tema “Chiesa-’ndrangheta”. Già in quell’occasione era stato dunque espresso l’impegno educativo ed ecclesiale per combattere la ’ndragheta; programma arricchito e corroborato dalla presenza e dalle parole del Papa a Sibari.
I quattro capitoletti della nota pastorale sono diventate oggetto di studio e dibattito. Hanno richiamato l’attenzione non solo di numerosi giornali e pagine web, ma anche delle due riviste quindicinali, “Il Regno” e “La civiltà cattolica”. La prima ha pubblicato la nota integralmente, dividendola in sezioni tematiche con il ricorso a titoletti che riprendono espressioni e parole-chiave presenti nel testo. Nella seconda, Luciano Larivera offre una stimolante sintesi della nota, evidenziando gli aspetti di novità e i punti di forza del documento pastorale. Innanzitutto il valore (e disvalore) della pietà popolare che se da una parte ha “forza evangelizzatrice” dall’altra può dar vita a “autentiche manifestazioni di idolatria, mascherata di religiosità”. Ma i nostri vescovi sono chiarissimi: la 'ndrangheta è l’anti-religione, “con i suoi simbolismi e i suoi atteggiamenti utilizzati al fine di guadagnare consenso. È una struttura pubblica di peccato, perché stritola i suoi figli. È contro la vita dell’uomo e contro la sua terra. È, in tutta evidenza, opera del male e del maligno”. Incommensurabile perciò la distanza tra Chiesa e 'ndrangheta, l’una si basa sull’amore l’altra sull’odio; la prima dona la vita, l’altra la toglie. L’episcopato calabrese avverte l’urgenza di una formazione rivolta ai seminaristi sulle diverse espressioni di pietà popolare; e preannunzia la stesura di un Direttorio su aspetti della celebrazione dei Sacramenti e della Pietà popolare che offra linee guida a cui attenersi nelle diocesi calabresi. L’altro aspetto sottolineato da Larivera è la dichiarazione inequivocabile dei Vescovi calabresi sulla mafia configurata quale “apostasia”. I mafiosi “non sono in comunione con la Chiesa, sono collocati automaticamente fuori dalla comunità cristiana e dalla retta professione di fede: costituiscono, quindi, una contro-testimonianza”. Non possono dunque, i mafiosi né accostarsi all’Eucarestia, né svolgere “uffici e compiti all’interno della comunità ecclesiale”. A meno che non ci sia un pentimento autentico accompagnato da azioni tangibili: “Senza un cambiamento concreto, pubblico, senza una vera e propria presa di distanza dalla vita vissuta nel male, non si può parlare di pentimento e di vera conversione; sono questi i segni indispensabili per un reinserimento pieno del peccatore nella comunità e per un percorso di ricostruzione interiore”.
Collaborare con la magistratura, consegnare i patrimoni rubati, riparare in tutti i modi al male fatto. Interessante, secondo Larivera anche la riflessione dei nostri vescovi sulla relazione tra Chiesa e Stato: l’azione della Chiesa “non può coincidere con l’azione inquirente e punitiva, propria dello Stato”, specie per il segreto confessionale, ma la chiesa sceglie di inserirsi con il suo specifico “nelle opere messe in atto dallo Stato, per trasformare tanti individui in altrettanti cittadini, consapevoli dei propri doveri, ma anche dei propri diritti irrinunciabili”.
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