Settimana sociale. Becchetti: “Dalle buone pratiche le ricette di policy per l’Italia”
In preparazione all’appuntamento di Cagliari, con il progetto “Cercatori di LavOro” sono state individuate 400 esperienze positive di realtà aziendali già impegnate nella creazione di un lavoro “libero, creativo, partecipativo, solidale”. Ne parliamo con l’economista Leonardo Becchetti, membro del Comitato scientifico e promotore della 48ª Settimana sociale dei cattolici italiani.
Andare, con umiltà, alla ricerca delle “buone pratiche” in atto, cioè di quelle realtà che malgrado tutte le difficoltà in cui versa l’Italia, sono riuscite a vincere la sfida di creare valore economico e occupazione di qualità. È stato questo uno dei quattro registri comunicativi scelti nella fase preparatoria della 48ª Settimana sociale dei cattolici italiani. “Si sarebbe potuto partire da un pur valido convegno su un eroe del passato come poteva essere Olivetti. Invece abbiamo scelto di cercare i 400 Olivetti di oggi”, spiega l’economista Leonardo Becchetti, docente all’Università di Roma Tor Vergata e membro del Comitato che ha preparato l’appuntamento di Cagliari. Con il progetto “Cercatori di LavOro” – aggiunge – “si è cercato chi oggi nelle difficoltà del mondo contemporaneo, con la globalizzazione e l’automazione, riesce a creare buon lavoro”.
Professore, qual è stato il valore aggiunto del progetto?
Credo stia nel metodo, una vera rivoluzione. Perché questo metodo continuerà ad essere valido nei prossimi anni, anche se magari produrrà delle ricette diverse.La ricerca delle “buone pratiche” ci ha fatto conoscere un sacco di belle realtà; ne abbiamo censite 400, che sono 400 risposte originali e innovative ai problemi del mondo di oggi.
Qual è lo spaccato che emerge dalle esperienze selezionate?
L’idea di sintesi è che l’Italia ha tre polmoni, tre motori. Il primo motore è quello della manifattura di successo, che quando aumenta la qualità della tecnologia attira anche lavoro di qualità, può rilocalizzare nel nostro Paese ed esporta. Il secondo è il settore socio-assistenziale che diventa sempre più importante. L’Unione europea ci ricorda che i servizi alla famiglia saranno il settore economico più importante del futuro. Ed è un settore che rappresenta una quota anche molto importante del Pil. Da ultimo c’è quello che io chiamo la “Montalbano Economics”, quell’insieme di arte, storia e cultura, biodiversità naturale ed enogastronomica che rappresenta il fattore di attrazione dei nostri territori nel resto del mondo.
L’Instrumentum Laboris per l’appuntamento di Cagliari invita ad “imparare” dalle “buone pratiche”. Che messaggio offrono?
Innanzitutto ci insegnano che
il lavoro non si crea per diritto, ma quando si hanno delle buone idee imprenditoriali che stanno in piedi sui mercati.
Poi, che oggi ci sono delle opportunità enormi per arrivare ad un nuovo modello di lavoro che concili sempre di più i quattro momenti fondamentali della nostra vita – tempo libero, lavoro, formazione permanente e cura interpersonale – grazie ad un lavoro agile, lo “smart working”. Infine ci dicono che ci sono molte forme di welfare aziendale che sono sempre più diffuse e interessanti. Ma bisogna fare un caveat perché il welfare aziendale purtroppo non è universale, cioè non è uguale per tutti. Questo è un problema, a cui lo Stato deve porre qualche rimedio attraverso reti di protezione un po’ più generali.
Un secondo verbo associato alle “buone pratiche” è “diffondere”. Come agire?
La logica delle “buone pratiche” è quella di creare contaminazione. A Cagliari faremo un lavoro di una giornata con i delegati proprio per condividere queste realtà e vedere quanto queste realtà possono essere riprodotte su altri territori. Abbiamo anche in programma una serie di attività post-Cagliari su questo fronte: l’incontro con il Progetto Policoro di fine dicembre sarà un laboratorio proprio sul tema della condivisione e della diffusione delle “buone pratiche”. Noi intendiamo continuare su questa strada.
Dall’esperienza positiva si riesce a passare alla proposta concreta?
Dalle “buone pratiche” siamo partiti per tirar fuori le ricette di policy per il Paese, perché chiaramente non pensiamo che l’Italia possa tirarsi su solo con le “buone pratiche”. Però queste ci fanno capire di cosa il Paese ha bisogno anche come iniziative di policy.
Cosa serve perché le “buone pratiche” si traducano in “sistema”?
Per quello che ad oggi abbiamo capito, ci sono una serie di fattori politici che possono aiutare in questo momento. Riteniamo siano quattro i punti fondamentali:aiutare chi crea lavoro e rimuovere quelli che sono gli ostacoli che si trova di fronte; attivare reti di protezione universale per gli esclusi e gli scartati; cambiare i rapporti di forza tra lavoro e consumo che in questo momento sono nettamente a favore del consumo, e questo precarizza il lavoro; fare qualcosa per valorizzare il territorio, dato che la risorsa chiave strategica del futuro sono i territori.La risorsa chiave non è la singola impresa, ma quell’insieme locale che rende un territorio attrattivo con effetti positivi a cascata su tutti gli attori a partire dalle imprese e fino a tutti i cittadini.
C’è un’esperienza tra le 400 selezionate che l’ha più sorpresa?
Se dovessi individuare l’attività economica più solida e con più futuro e sicurezza direi che è quella che lavora sul tema della generatività degli anziani, dei longevi, creando infrastrutture di coesione sociale. È un po’ quello che avviene al Civitas Vitae di Padova, una realtà che occupa 500 dipendenti e che si sta espandendo anche in altre regioni. Uno non lo penserebbe, gli verrebbe sempre in mente la manifattura. E, invece, oggi – anche secondo i dati dell’Unione europea – questa è una delle attività più importanti in assoluto nel nostro Paese.
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