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Marulla e noi.

4 anni fa ci lasciava l'indimenticabile capitano dei Lupi. Cosa resta dell'esistenza di quello che è sempre di più un'icona della città?

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Marulla e noi.

Gigi Marulla ci ha lasciati 4 anni fa. L’estate più commossa e pregna sentimentalmente dell’affetto della città nei confronti di quello che è, a tutti gli effetti, un’icona, un simbolo rappresentativo di tutta la comunità bruzia. L’”eroe” delle squadre altre, del calcio di provincia, ma non provinciale. Un po’ come Bulgarelli per il Bologna. Il percorso di Marulla non si è fermato solo ed esclusivamente al campo di gioco. Egli si è addentrato nell’amalgama cittadina, restandoci. A dispetto della provenienza reggina “il Tamburino di Stilo” (copyright Santi Trimboli) si è addentrato nell’amalgama cittadina, restandoci, e diventandone, ciò che a queste latitudini geografico-politiche talvolta manca, un punto di riferimento per generazioni di giovani sognatori.

Cosa resta di Marulla, allora? Di quel calciatore che decise di stare al Cosenza rifiutando proposte di club di Serie A? La risposta è, quasi, banale. Resta l’esempio della sua esistenza, quella di una persona dedita al lavoro quotidiano, continuativo e non momentaneo, non ispirato a velleità isolate, qui-e-ora, ma proteso alla costruzione, attraverso i giovani, di spiragli di futuro possibili. Senza la malattia di apparire sugli scranni televisivi, usando le parole e i gesti per formare i suoi “allievi”. Proprio al Marca troviamo l’essenza di ciò che è stato Marulla. Non solo in campo, nei 90 minuti regolamentari. Certamente, ha provato ad essere qualcosa dopo la carriera da calciatore, nel Cosenza. Allenatore delle squadre giovanili, poi salto in prima squadra. L’esito non è stato dei migliori, ma la diversità tra la normalità e l’estetica (diceva Carmelo Bene su Van Basten) è quella di conoscere il ruolo che meglio risalta le proprie potenzialità. Dunque, non fare una cosa a tutti costi, purché la si faccia, ma virare su un qualcosa che possa dare soddisfazione “artistica” per se e per la collettività.

Artistica perché a suo modo da calciatore lo è stato, ma dopo ha lavorato cercando di formare, “produrre” nuovi calciatori. Marulla è sempre quello di Pescara e Padova, ma l’insegnamento profondo che ci lascia non può essere inscritto nel giro di una singola partita o nel computo finale di goal realizzati e presenze registrate. Un esempio non sistematicamente compiuto da gente più famosa e nota.  E l’effige di Marulla ce l’ho ricorda.

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