Mons. Lusek: nel tifo prospera il malaffare
L'intervento del direttore dell'Ufficio sport della Cei “Mai una gioia” condotta dalla Squadra mobile di Bergamo e dallo Sco della Polizia di Stato contro numerosi soggetti ritenuti responsabili di traffico e spaccio di droga, estorsione, rapina e resistenza a pubblico ufficiale.
“Da passione, entusiasmo e legame con i colori della propria squadra il tifo è divenuto terra di tutti e di nessuno, in cui prospera spesso il malaffare”. Così monsignor Mario Lusek, direttore dell’Ufficio per la pastorale del tempo libero, turismo e sport della Cei, commenta al Sir l’operazione “Mai una gioia” condotta dalla Squadra mobile di Bergamo e dallo Sco della Polizia di Stato contro numerosi soggetti ritenuti responsabili di traffico e spaccio di droga, estorsione, rapina e resistenza a pubblico ufficiale. “La repressione di fenomeni criminosi confinanti con il mondo dello sport è solo un momento di un’azione che ne sollecita altri, tra cui una nuova responsabilizzazione di tutti i soggetti interessati: società civile, mondo dello sport e realtà educative”, osserva mons. Lusek. Dalle indagini è emerso che il gruppo, in prevalenza ultras nerazzurri, prima di assistere alla partita, acquistava e assumeva cocaina nei pressi o anche dentro lo stadio, incappucciandosi poi per compiere azioni violente. “Colpisce il nome dell’operazione – prosegue mons. Lusek -: sappiamo bene che la gioia non viene da una sostanza, ma dal rifiuto dei falsi valori per non invischiarsi in una violenza sistemica, esistenziale e ineluttabile. Bisogna riformulare una scala di valori che riempia di senso e significato la propria esistenza sportiva”.
Inoltre, aggiunge il direttore, “abbiamo bisogno di un affidamento a ‘maestri’ di vita (allenatori, manager, dirigenti, tifoserie) anche nel mondo dello sport. C’è una cultura dello sport da risignificare per prevenire i guasti, già ampi nel mondo del calcio inquinato da scommesse e ‘azzardi’ di vario genere, che poi contagiano l’intero territorio sportivo”.
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