Giovanni sogna le Paralimpiadi di Rio 2016
Il campione italiano di Judo per la categoria non vedenti originario di San Giovanni in Fiore ci ha raccontato di sè, delle difficoltà incontrate e del suo amore per lo sport, coltivato nella palestra del papà del campione olimpico Maddaloni tra i ragazzi disagiati di Scampia.
I sogni non hanno età, neanche quelli che abbiamo da bambini e che a volte abbiamo il coraggio di realizzare solo da adulti. Ne è la dimostrazione la storia di Giovanni Guzzo originario di San Giovanni in Fiore, campione italiano di judo. Il suo sogno Giovanni, che ha perso la vista quando aveva solo pochi mesi in seguito al morbillo, lo ha realizzato a 32 anni quando a Napoli per la prima volta ha avuto la possibilità di salire su un tatami e poter finalmente praticare judo nonostante la sua condizione. “La passione per questo sport- racconta - è nata quando avevo 14 anni. Seguivo le Olimpiadi di Barcellona 92. Per lungo tempo ho pensato che mi sarebbe piaciuto praticare questo sport, ma le possibilità di poterlo fare al Sud non erano molte per chi non vede. Poi, nel 2011 mi è stato proposto di andare a fare judo nella palestra di Maddaloni. Chi ama questa disciplina sa che il suo è un nome importante dello sport. La vita mi stava offrendo una bella occasione: incontrare il campione olimpico del quale avevo ammirato le imprese. Nel momento in cui lo incontrai, però, sentii la voce di una persona più in là negli anni. Si trattava non di Pino Maddaloni, ma del papà del grande campione, nonché suo maestro: Gianni. Una personache mi ha fatto conoscere la bellezza di questo sport e che mi ha insegnato tanto”.
Nella palestra di Maddaloni, Giovanni si allena anche con i ragazzi di Scampia, ragazzi di periferia, disagiati e in difficoltà che nello sport hanno visto come lui una speranza di riscatto. “É fondamentale- dice Giovanni Guzzo- dare a questi giovani una speranza anche attraverso lo sport. A Scampia la maggior parte dei padri e delle madri lavorano anche onestamente, purtroppo però i figli facilmente possono finire nelle grinfie della malavita. Purtroppo non c’è lavoro. Lo sport invece insegna loro a vivere e a continuare a sognare nonostante tutto. Una disciplina come il judo può rappresentare un modo per confrontarsi con gli altri senza però trasgredire le regole, un modo per aiutarli a realizzare i loro sogni. Sono ragazzi che hanno tanta voglia di imparare. Dal punto di vista tecnico molti di loro sono veramente molto capaci. Da loro puoi apprendere tanto e allo stesso tempo cercare di insegnargli che dalla propria condizione ci si può riscattare. Io ne sono l’esempio. Se ce l’ho fatta io, anche loro possono farcela. Le vittorie non solo sul tatami, ma anche nella vita si conquistano con sacrificio e tanta buona volontà”. E Giovanni Guzzo di vittorie ne ha conquistate tante fino a riuscire a salire sul podio più alto del Campionato italiano di Judo per non vedenti per ben tre volte. È accaduto nel 2012, nel 2013 e anche lo scorso anno.
Ma Giovanni non si ferma. Continua ad allenarsi con determinazione e costanza per poter un giorno realizzare un altro grande sogno: “ Mi piacerebbe partecipare - dice- alle Paraolimpiadi di Rio De Janeiro 2016. Chissà! Sarebbe veramente straordinario per me”.
In che modo il judo aiuta anche a superare la cecità?
Si tratta di uno sport che prevede il contatto. Il contatto per chi non vede è essenziale. Per chi non vede offre tanti vantaggi perché favorisce la coordinazione della postura. Personalmente praticare questo sport mi ha aiutato molto anche a socializzare con gli altri. Ha rafforzato la convinzione che il vero disabile non sono io, ma chi si confronta con me e si chiede senza comprendere come io riesca ad allenarmi e a vincere senza vedere. Chi non vede è vero non può magari guidare la macchina, ma anche quando va via la corrente può continuare tranquillamente ad allenarsi. Il judo è una filosofia. Insegna a vivere e ad affrontare le difficoltà della vita.
E lei ne ha incontrare tante di difficoltà?
I problemi che ho dovuto affrontare sono quelli comuni a ogni persona che non vede. La difficoltà maggiore è spesso quella di non essere accettato dagli altri. Gli altri si chiedono spesso come faccia a svolgere le normali azioni quotidiane. È un pregiudizio che esiste in tutti i settori della vita non solo nello sport.
E come ci riesce?
Tanta buona volontà, e non solo.
Il ricordo più bello che ha della sua infanzia a San Giovanni in Fiore?
A casa ero abbastanza coccolato essendo l’ultimo figlio. Ricordo l’emozione provata durante una festa di compleanno nel ricevere un giocattolo. Allora non ci si poteva permettere tutto come oggi. Lavorava solo mio padre.
Qual è l’insegnamento più bello che la famiglia le ha dato?
Mia mamma mi ha portato a Napoli perché mi diceva che non sarei mai stato come gli altri. Lei era molto protettiva nei miei confronti. Mi diceva che da solo non sarei mai potuto uscire, eppure poi ci sono riuscito. Però mi diceva che avrei dovuto avere un’istruzione affinché potessi essere il più possibile indipendente. Ecco mi ha insegnato che quando volevo una cosa dovevo prendermela.
E poi c’è riuscito. Per ben tre volte campione italiano di Judo. Un bel risultato.
Si. Un bel risultato, ma soprattutto tante belle emozioni provate.
Chi è Giovanni Guzzo quando non indossa il chimono e la cintura?
Una persona che cerca di tendere sempre una mano verso gli altri e che cerca sempre di imparare dagli altri.
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