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Wojtyla e i media: analisi di una nuova Pastorale, tra Coscienza e Conoscenza

Lo scorso 29 ottobre, presso la Chiesa di San Domenico, a Cerisano, nei suggestivi ambienti della Cappella Gentilizia della Congregazione, s’è tenuta la presentazione del libro di Antonio Modaffari “Giovanni Paolo II – il Papa della comunicazione”, che è stato tradotto anche in braille. Un incontro, che ha dato l’opportunità a importanti relatori di animare una tavola rotonda rivelatasi copiosa d’interessanti elementi formativi.

Wojtyla e i media: analisi di una nuova Pastorale, tra Coscienza e Conoscenza

Un aulico momento d’incontro e crescita, in una cornice d'arte e bellezza: il Caffè letterario della solidarietà, svoltosi nel tardo pomeriggio di sabato scorso, 29 ottobre 2016, presso la Chiesa di San Domenico, a Cerisano, nei suggestivi ambienti della Cappella Gentilizia della Congregazione, ha ospitato la presentazione del libro di Antonio Modaffari “Giovanni Paolo II – il Papa della comunicazione”, durante la quale importanti relatori hanno dato vita a una tavola rotonda rivelatasi copiosa d’interessanti elementi formativi. Un saggio, presentato anche presso il salone del libro di Torino, che affronta un tema, quale il rapporto stretto che intercorse tra Wojtyla e l’universo mediatico, conosciuto e tuttavia non sempre analizzato nella sua vera portata e in merito al quale, durante l’incontro di sabato, moderato da Rosario Belmonte, Consigliere Comunale a Cerisano, si sono confrontate le riflessioni di Carmelo La Neve, Priore della Congrega del Santissimo Rosario di Cerisano, antica e prestigiosa istituzione confraternale molto attiva nel campo della solidarietà e della promozione culturale sul territorio, Demetrio Guzzardi, direttore della casa editrice che ha pubblicato il volume, Antonio Modaffari, autore del saggio, Salvatore Vainieri, responsabile della stamperia braille di Radio San Marco Scalo e al quale si deve la traduzione in braille del libro, e Annamaria Palummo, Consigliere Nazionale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, invitata, per l’occasione, a portare nella discussione la testimonianza del mondo dei non vedenti, i quali avranno la possibilità di leggere autonomamente l’opera di Modaffari grazie al summenzionato metodo di letto-scrittura. «Nel farmi portatrice del saluto fraterno a voi tutti rivolto dal Presidente Nazionale dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, dottor Mario Barbuto, voglio esprimere – ha affermato la dottoressa Palummo – tutta la mia gioia di essere qui, oggi pomeriggio, a dare il mio piccolo contributo al simposio di presentazione di questo libro, dal titolo decisamente esaustivo, in ordine al tema in esso trattato: "Giovanni Paolo II - il Papa della Comunicazione”. Una gioia che, per me, si trasfigura in emozione, trovandomi, nuovamente, dopo tanti anni e dopo tanto peregrinare, a partecipare, nella veste di Dirigente nazionale dell'UICI, a un evento culturale organizzato qui, nel mio paese. Un evento, che è un’occasione: la presentazione di un libro, in particolare di questo libro, di cui esiste una traduzione in braille, costituisce, infatti, un'occasione di conoscenza e riflessione afferentemente alla realtà esistenziale, segnata dal disagio sensoriale e, a volte, dalla sofferenza, che scandisce la quotidianità di tutti coloro i quali vivono la disabilità, nel nostro caso la mancanza della vista, e di come, tuttavia, tale realtà, se sublimata analiticamente, interiormente e, soprattutto, culturalmente, nella sua essenza sociale, sia foriera di grandi slanci emotivi, di grandi elevazioni valoriali, trovanti nell'elemento comunicativo il vettore attraverso cui diventare parte dell'agorà globale, archetipica della nostra epoca, da cui ognuno di noi può attingere conoscenza e coscienza e a cui ognuno di noi può elargire la linfa del proprio vissuto, che di quella conoscenza e coscienza costituisce la fonte. Conoscenza e Coscienza, dunque: queste le categorie in cui germinano quelle norme, quella morale, quel senso comune attraverso cui diamo un ordine all'immanente, imparando a praticare la solidarietà e la misericordia, nonchè a focalizzare la condizione del bisogno nella sua accezione, nella sua natura sociale, che riguarda tutti noi e rispetto alla quale, perciò, tutti noi siamo chiamati a responsabilizzarci; questi i prodromi moralmente vitali, per tutti noi, per la nostra capacità di essere parte attiva e propositiva del mondo; questi i fattori che ormai i non vedenti riescono agevolmente a far propri grazie al sistema di letto scrittura braille, grazie ai magici puntini con cui il genio di Louis Braille ha illuminato il firmamento, interiore e relazionale, di chi, non avendo la possibilità di assaporare attraverso gli occhi la bellezza di ciò che ci circonda, riesce a sublimare la poesia del quotidiano attraverso la magia che si materializza sotto i polpastrelli. È buio che diventa luce... è disagio che diventa meraviglia... è solitudine che diventa vita: è veramente magia il braille. È magia perché rende coscienti e conoscenti... È magia, come, se ci pensiamo bene, ogni altro vettore di comunicazione. È perciò molto significativo che tale vettore comunicativo schiuda all'orizzonte dei non vedenti i contenuti di questo libro, che catalizza la nostra attenzione su una delle maggiori peculiarità di Giovanni Paolo II, ossia la capacità di comunicare, di relazionarsi, fino a entrare quasi in empatia, con l'umanità frettolosa e superficiale dei nostri tempi, attraverso grandi e piccoli gesti, attraverso parole, voce, mimica, adoperando come vettore comunicativo tutto se stesso, il suo stesso corpo, senza mai nascondersi: prima, all'alba del suo ministero pontificale, esprimendo forza, vigore, sicurezza, quando quel suo brandire la ferula, alla stregua di un vessillo, fin dalla Santa Messa di inizio pontificato, voleva indicare alla Chiesa il cammino verso il nuovo millennio; dopo, al vespero del suo percorso, mostrando la sua debolezza, la sua fragilità, la sua sofferenza, allorché anche l'impossibilità di parlare, durante l'ultimo suo Angelus, che a molti ricordò “l’agnello afono” del profeta Isaia, e un Crocifisso tenuto a fatica tra le mani tremanti, mentre assisteva, davanti a un televisore, alla Via Crucis del 2005, alla quale fu impossibilitato a partecipare, essendo egli chiamato a vivere il suo personale calvario, riuscirono a veicolare quello che è forse il messaggio emotivamente più forte della dottrina cristiana, ovvero il sommo senso della sofferenza, in cui trovano slancio quei valori e quella capacità interiore di sublimare ogni aspetto dell’esistenza e di guardare avanti con fiducia. Un messaggio, una parola, o meglio, La Parola, che Wojtyla s’impegnò a Comunicare in ogni foggia al popolo di Dio, inteso nella sua dimensione universale e che tale libro oggi riverbera, inducendoci a riflettere come dalla coscienza del dolore nasca la conoscenza di chi siamo e dell’orizzonte verso cui andiamo. Quell’orizzonte di comunione cristiana, che oggi ha in un altro straordinario Comunicatore della Parola, come Papa Francesco, il punto di riferimento, la guida: la guida verso una rinnovata coscienza morale della nostra condizione terrena e una vivida conoscenza sociale dell’elevazione vivifica “comunicata” dal Vangelo, che si sostanzia nella cultura della Misericordia, di cui Bergoglio, che vi ha addirittura dedicato un Giubileo Straordinario, è sapiente promotore e a cui anela con speranza, con fiducia tutta l’umanità di buona volontà». Un’umanità, che ha continua necessità di abbeverarsi all’oasi della conoscenza: quella conoscenza, che, insieme alla morale, trovante solido ancoraggio nella fede, è sempre stata la strada per addivenire alla virtù dell’esistenza. «Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza», scrive Dante nel ventiseiesimo Canto dell’Inferno, ponendoci, contestualmente all’insondabile disegno Divino, di fronte all’unicità della pur caduca natura umana; quel consesso umano investito del dovere di cercare quell’eccellenza propria della volontà di Colui che ha alitato in noi la vita, cercando di carpirla, facendola propria, elargendola e perpetuandola, insomma, “comunicandola”, in un circolo virtuoso in grado di porre rimedio al senso di smarrimento naturalmente pervadente l’uomo, qualora egli non abbia ancora conosciuto la Parola, ovvero, non sia entrato in efficace “interazione comunicativa” con Essa, e recare così onore alla sua «semenza», all’origine, avente Sorgente nell’Onnipotente, di cui parla il Sommo Poeta. E al riguardo, i libri costituiscono un ideale valico verso quell’eccellenza: «un libro regala sempre conoscenza – ha osservato Demetrio Guzzardi, editore del volume –, lo scrittore regala ciò che scrive. Il libro è un regalo, il libro ha la funzione di essere donato; regalare un libro, equivale a regalare le stelle. Il libro unisce, ci dona forza e un libro che è donato con la magia braille diventa qualcosa di fantastico. Ringrazio, al riguardo, la dottoressa Palummo per averci fatto entrare nell'essenza di questo libro; un libro scritto per condividere conoscenza riguardo a un Papa che andò oltre il semplice approccio ecclesiastico», non rinunciando, in nessun caso, alla manifestazione di quegli elementi caratteristici che ne hanno fatto un protagonista del mondo contemporaneo, in cui il decisivo ruolo avuto nel collasso dei regimi dell’est europeo, rappresenta solo un segmento, seppur precipuo, della storia umana di un leader, religioso e politico, il quale, fin dal primo approccio che ebbe con i fedeli, trasse forza del fattore identitario affondante le radici nelle proprie origini, nell’esperienza, nel suo essere polacco, esprimendo, nel contempo, chiaramente i cardini della sua pastorale, contestualmente a cui fondamentale rilevanza avrebbe avuto, nel corso dei ventisette anni di pontificato, «l’attenzione – ha evidenziato Guzzardi –  verso i sistemi economici e politici», in una proiezione globale del ministero petrino, in cui i suoi viaggi, il suo dinamismo, l’energia e, nella fase finale della sua vita, il dolore, avrebbero, costituito i canali della nuova evangelizzazione, dell’annuncio della novella, come acutamente osservato, in apertura dei lavori, dalla dottoressa Palummo. “Evangelizzazione”, che – questo nel libro è spiegato bene –, per Wojtyla, significava “comunicazione”; ecco perché, la valorizzazione delle potenzialità dei media risultò, come scrive Modaffari nel suo libro, «una delle priorità del papa polacco», il quale «pone l’accento sul rapporto che ci deve essere tra catechesi e media, mettendo in luce le grandi possibilità offerte dalla pedagogia della fede»: se è vero che l’acribia nel comunicare riesce a orientare i comportamenti, a scuotere le menti, a toccare i cuori, allora, quando l’evangelizzazione giunge a trasfigurarsi in efficace comunicazione, la Parola riesce effettivamente a diventare elemento di elevazione valoriale collettiva; Essa riesce concretamente a mondare di luce i pensieri; Essa riesce agevolmente a “aprire” i sentimenti; Essa, insomma,  riesce veramente ad arrivare nella vita delle donne e degli uomini del nostro tempo. E’ questa l’essenza dell’opera, pastorale ma di stampo non unicamente “ecclesiastico”, di colui che una giornalista francese, nella memoranda sera del 16 ottobre 1978, descrisse, quasi profeticamente, come il «Papa dei media». Un Papa, che, «scardinò – ha aggiunto Guzzardi –  fin dalla proclamazione, le consuetudini della Chiesa, scompaginando il protocollo con la pronuncia del discorso del “se mi sbaglio mi corriggerete”: un gesto, questo, di apertura verso i fedeli e anche mediatico. Potremmo dire un gesto simpatico, che lo rese notiziabile per i media: un po’ com’è successo con Papa Francesco quando si è affacciato per la prima volta dalla loggia di San Pietro, con quel suo lessico gioviale e col suo stile informale che ha subito conquistato tutti» e che ha gettato le basi per la definizione di una proficua e diuturna interazione comunicativa tra un grande Papa come Bergoglio e l’umanità globalizzata. Quell’interazione, che si manifestò subito anche nell’ottobre del 1978 e che conobbe un altro momento fondamentale in occasione della «Messa d’intronizzazione, una breccia – ha ricordato Guzzardi – nella storia Chiesa, allorchè Giovanni Paolo II iniziò ad assurgere anche come leader politico. Un aspetto, questo, che fu consolidato dal suo continuo viaggiare, dall’essere globetrotter, rispetto a cui i media introdussero un nuovo linguaggio, un nuovo modo di raccontare l‘attività del Papa, e che fu accresciuto da un avvenimento drammatico, quale fu l'attentato, mostrato in diretta TV»: «per la prima volta la storia della Chiesa – scrive Modaffari – e quella dei media vanno a legarsi in modo forte. (…) E’ probabilmente il punto di svolta per quanto riguarda lo spazio che deve occupare l’immagine di Wojtyla nell’infinito mondo mediatico. E’ la prima volta che la realtà va a sovrapporsi a quella quasi realtà che viene diffusa dai mezzi di comunicazione di massa. Una tendenza (…) che porterà a una situazione, quella odierna, dove ormai il pubblico non distingue più tra il mondo reale e quello virtuale». Da allora, il legame tra Chiesa e dimensione mediatica andò sempre più consolidandosi: «l’istituzione – ha spiegato Guzzardi – da parte di Giovanni Paolo II del Centro Televisivo Vaticano e la nomina a direttore della sala Stampa Vaticana di Navarro-Valls, primo laico a ricoprire tale funzione, aprirono prospettive nuove», col CTV che «diventa mezzo di collaborazione per i media, dando – ha affermato Modaffari – a qualsiasi fedele la possibilità di entrare nella quotidianità del papà, secondo un costume che è oggi proprio di Papa Francesco. A Navarro, invece, si deve l’introduzione di un modo nuovo di lavorare della Sala stampa, che privilegiava la copertura televisiva; questo perché grazie alla televisione, i problemi sarebbero stati messi nell’ombra e l’emotività avrebbe avuto la meglio. Fu lui, inoltre, ad adottare le conferenze stampe in volo e tutta una serie di strategie desunte dal modus dei cronisti occidentali, seguendo un modello che preferisce l’eufemismo e il non detto alla presentazione puntuale dei fatti. Una modalità giornalistica, che diventò un boomerang all’approssimarsi della morte del Papa, quando Navarro, nelle ultime ore, - quindi in un momento estremamente delicato e per lui “inedito” –, trovò difficoltà a gestire quella fame di notizie», traente linfa da quel rapporto col mondo della comunicazione consolidatosi in tanti anni di simbiotica corrispondenza. Anni, in cui Wojtyla curò ogni aspetto di tale rapporto; significativa fu, al riguardo, la scelta di affidare le riprese del Giubileo del 2000 a un regista cinematografico come Ermanno Olmi: una celta non casuale, «in linea col suo passato di attore – ha sottolineato Modaffari –, consapevole del fatto che la modalità del regista cinematografico, il suo diverso metodo, rispetto a un regista televisivo, regala maggiori spunti di riflessione», più marcato pathos, più profonda carica emotiva, fondamentale nel dare respiro a quella funzione sociale dell'arte cinematografica, quale mezzo di comunicazione, a cui Giovanni Paolo II fu sempre legato e con cui volle connotare uno dei momenti più importanti del suo lungo magistero, quale fu, appunto il Giubileo. Un magistero complesso, sfolgorante, mediatico, rispetto a cui il volume di Modaffari offre, o  meglio, “comunica”, è il caso di dirlo,  un interessante quadro sinottico, utile a fornire elementi rilevanti, non solo dal punto di vista storiografico e scientifico e non unicamente ai cosiddetti “addetti ai lavori”, attraverso cui volgere lo sguardo, anche critico, sulla multiformità in cui naviga la nostra contemporaneità. Leggiamolo, dunque, questo libro, leggiamo quanti più libri possibile: ogni libro comunica qualcosa, ogni libro ha in serbo un’emozione e quando si Comunicano le emozioni, si dona Luce alla Vita... La Luce della Coscienza... La Luce della Conoscenza.

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