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Una statua bronzea dedicata al pensatore silano svetta nella piazza principale di Longobucco 

Un chirurgo calabrese del Duecento

Bruno da Longobucco ha ridato dignità ad un settore da sempre considerato prerogativa di barbieri e ciarlatani

Un chirurgo calabrese del Duecento

Uno dei nomi più importanti della medicina medievale è quello di Bruno da Longobucco, il grande fautore della disciplina chirurgica che ha dato lustro e prestigio alla storia del Sud, all’Italia e al mondo intero. Guy de Chauliac, il più grande chirurgo francese del trecento, lo giudicò uno dei massimi dottori del Duecento. Il suo lavoro ebbe un impatto decisivo nel Medioevo, in quanto rappresentò il primo tentativo in assoluto di sintesi tra l’eredità greco-latina e araba, a partire dalla quale fu riformato il settore chirurgico e fu data maggiore dignità alla medicina. Sulla vita di questo sapiente erudito non possediamo molte informazioni. Sappiamo che nacque nei primi anni del XIII secolo nel piccolo, povero e isolato paese di Longobucco, situato sulla fascia jonica della Calabria. Lui stesso nei suoi scritti si dichiara così: “Brunus Gente Calabrica Patria Longoburgensis” (io Bruno, di famiglia calabrese e nato a Longobucco). Proveniva da una famiglia di solide condizioni economiche, coinvolta nell’amministrazione delle miniere d’argento presenti in loco. Bruno doveva essere una persona colta, profondamente legata alla religione cattolica e dotata di spirito austero e raffinato. Studiò, con molta probabilità, tra la sua città natale e Rossano, centro fiorente della Calabria settentrionale all’epoca dell’imperatore Federico II (lo Stupor Mundi), dove scienza e commerci erano molto sviluppati. Fu allievo dell’eccelsa Scuola Medica Salernitana dove apprese, oltre alle fondamentali nozioni mediche, le dottrine arabe, greche e latine che incisero molto sul suo futuro operato. Sempre qui conobbe importanti chirurghi del tempo come Guglielmo di Saliceto e Lanfranco da Milano. Si trasferì a Bologna dove seguì gli insegnamenti di Ugo Borgognoni da Lucca, che era molto abile nella pratica chirurgica. Bruno lo superò sia perché il suo maestro non scrisse nulla, sia perché quest’ultimo era privo di un’appropriata cultura dottrinaria classica. Lo storico Salvatore De Renzi scrive così: “… e forse neppure il suo nome (Ugone) sarebbe arrivato a’ posteriori ove non fosse surto altro uomo, che veniva a congiungere insieme le dottrine degli antichi e l’efficace chirurgia de’ moderni. Quest’uomo fu Bruno da Longobucco (…) Calabrese dotto e intraprendente”. Proprio a Bologna Bruno prese dimestichezza con i testi della tradizione culturale araba. Nel 1222 si spostò a Padova, dove contribuì alla fondazione dell’antica università di questa città, inaugurata il 29 settembre dello stesso anno. Con il filosofo e medico Pietro d’Abano insegnò le dottrine arabe alla luce delle nuove scoperte, diventando ambasciatore della “medicina arabista” in Italia e in Europa. Fu uno dei precursori del metodo scientifico presso l’ateneo padovano, proprio perché il suo intento era quello di far convergere esperienza empirica e ragione. Diventato magister tenne la prima cattedra di chirurgia a Bologna intorno al 1250. Francesco Pata, chirurgo all’ospedale di Corigliano Rossano nonché ricercatore di Chirurgia Generale all’Unical, ha sostenuto, in vari convegni sulla figura di Bruno da Longobucco, che quest’ultimo è stato il primo chirurgo ad aver rivestito anche la carica di docente universitario, in un periodo come quello medievale in cui spesso la chirurgia era considerata una disciplina minore, negletta, trascura e poco chiara rispetto alla medicina, lasciata nella maggior parte dei casi ai barbieri, ai ciarlatani e ai praticoni. Fu il primo a combattere affinché questa disciplina venisse considerata parte della scienza medica, elevandola a sua “nobile compagna”. Il longobardese trasformò la figura del chirurgo rendendola “sempre più medico e meno barbiere”, conferendole gli onori propri di una persona colta, consapevole del proprio impegno e della propria responsabilità verso i suoi pazienti, in un Medioevo in cui si verificava una frattura tra la nobile arte medica e la pratica chirurgica del chirurgo-barbiere. La capacità di Bruno fu quella di divulgare, alle prime generazioni di medici universitari, un messaggio innovativo: la chirurgia non è solo una mansione pratica ma è anche una dottrina con dignità teorica. Propose una nuova chirurgia di matrice greco-araba, sottraendola al limbo dei cavadenti, dei flebotomi e dei barbieri, e unendola alla medicina monastica, senza tralasciare gli insegnamenti di dottori antichi come Democede di Crotone, vissuto nel periodo di Pitagora, e Filistione di Locri, riportati in numerosi volumi conservati nei monasteri basiliani e benedettini, e ricopiati dagli amanuensi di Cassiodoro a Squillace. Bruno morì a Padova nel 1286. I suoi trattati più rilevanti sono “Chirurgia Magna” e “Chirurgia Parva” o minor. La prima è la sua opera maggiore, completata in età adulta verso il 1253 e dedicata all’amico Andrea da Vicenza. Bruno fa sfoggio in questo libro della sua vasta sapienza medica, mettendo insieme, con metodo analitico personale, la medicina classica e quella araba. Si rifà infatti ai grandi dotti romani del passato, tra cui Galeno, e ai professionisti arabi come Avicenna, aggiungendo anche alcuni elementi originali. Composta da due libri di venti capitoli ciascuno, l’opera tratta in maniera chiara, puntuale e sistematica dei metodi da seguire per curare, attraverso anche l’invocazione della grazia divina, le ferite, le fratture e le lussazioni. L’autore riserva anche una lunga dissertazione alle malattie che necessitano di intervento chirurgico, identificando nella dieta, nella pozione e nella chirurgia i tre mezzi per debellare le infezioni. Descrive interventi e tecniche chirurgiche da lui sperimentate per la prima volta, dimostrando perfino una certa padronanza dell’anatomia di quei tempi. Dà evidenza delle più moderne visioni salutistiche, che prediligono le cure naturali alternative a quelle mediche, e illustra, tra le altre cose, il drenaggio dei fluidi delle cavità sierose, i nuovi metodi di sutura, l’intervento di cataratta e la terapia delle fistole anali. Questo trattato è stato tradotto in ebraico e in latino e ha avuto un’ampia diffusione, giungendo a Monpellier in Francia, nella Scuola Salernitana fino ad imporsi nel 1400 come testo obbligatorio, per conseguire il titolo di laurea in medicina a Bologna. Il secondo capolavoro “Chirurgia minor”, composto da un solo libro di 23 capitoli dedicato a Lazzaro da Padova, è un trattato più maneggevole e didattico, una sorta di compendio della prima opera. Bruno si scontrò inoltre con le dottrine dei grandi della storia della medicina antica, affrontando per primo, tra i medici cristiani, il tema della castrazione, tanto inviso ai medievalisti. Fu antesignano dell’ “antisepsi”, il processo mirante all’eliminazione della maggior parte dei microrganismi da oggetti inanimati o da superfici biologiche, e praticò la “paracentesi” per la rimozione di liquidi in eccesso. Per alcuni trattamenti restò fedele alle procedure messe in campo dal medico romano Galeno, per altri al greco Ippocrate e per altri ancora al filosofo greco Celso. Tra gli altri suoi scritti minori si ricordano “Capitoli del Bruno della utilità delli cauteri”, “Bruni medicamenta varia”, “Bruno materia medica” e altri manoscritti, alcuni dei quali sono consultabili presso la Biblioteca Civica di Longobucco a lui dedicata. Su uno dei lati di Piazza Matteotti, nel suo paese natale in Calabria, svetta un monumento bronzeo dell’artista Thomas Pirillo che raffigura questo grande inventore della chirurgia moderna, mentre un busto della sua figura si trova all’interno degli edifici dell’Università padovana a memoria del suo ruolo e della sua grandezza. Come scienziato e chirurgo fu molto apprezzato durante il Medioevo ma in seguito se ne persero le tracce. Un personaggio di tale caratura, tuttavia, non può rimanere nell’oblio, va recuperato e riportato alla memoria collettiva, gli vanno tributati tutti gli onori che merita e va assurto a modello di civilizzazione e di amore per le proprie radici meridionali. Bruno da Longobucco ha creato spazi di umanità e di civiltà con la sua professione.

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