Anche in Venezuela è possibile un processo di riconciliazione
Il nunzio apostolico a Caracas traccia la situazione nel Paese segnato dalla recessione e diviso tra due principali fazioni politiche. Francesco, amato dal popolo e rispettato sia dalle istituzioni governative sia dalle forze di opposizione, "incoraggia sempre a tentare di aprire una porta, pur consapevole dei limiti e dei rischi, piuttosto che stare nell’immobilismo cronico della violenza".
Mentre la situazione economica del Paese è devastata a causa del crollo del prezzo del petrolio, motore unilaterale dell’economica venezuelana, è in corso un braccio di ferro tra il governo di Nicolas Maduro e l’opposizione, il Tavolo dell’unità democratica, che chiede un referendum per revocare il mandato del presidente e andare a nuove elezioni. Questa procedura è prevista dalla Costituzione, ma di fatto ostacolata dal Consiglio nazionale elettorale del Venezuela. In questo clima, bloccato e incandescente, al nunzio in Venezuela, mons. Aldo Giordano, è arrivata il 21 settembre la richiesta ufficiale del Governo di intervenire per facilitare il dialogo tra governo e opposizione. Al Sir racconta i differenti aspetti del complesso scenario venezuelano, la “visione” del Papa e il ruolo della diplomazia vaticana.
Come vede la situazione attuale?
La situazione è oggi molto difficile e non è possibile prevedere cosa succederà nel Paese. In realtà incontro tante persone dei vari schieramenti politici che cercano con insistenza strade di dialogo, ma realisticamente ho l’impressione di una situazione piuttosto bloccata. Non è facile intravedere opportunità per aprire porte o avviare trattative. Lo stallo politico impedisce di dare priorità al bene comune, che sarebbe la vera vocazione della politica.
Perché si chiede aiuto alla Santa Sede in questa crisi?
Papa Francesco, primo pontefice dell’America Latina, è molto amato da tutto il popolo venezuelano. Quando visito le comunità cattoliche del Paese tantissime persone, specialmente i giovani, mi pregano di inviare al Papa un forte abbraccio, di invitarlo in Venezuela, di chiedergli di pregare per il Venezuela. Anche i rappresentanti del Governo e dell’opposizione manifestano un grande rispetto per Papa Francesco e ne riconoscono l’autorevolezza mondiale. Il Papa segue da vicino, con grande attenzione e con molto affetto, la situazione.
La violenza criminale è una piaga endemica: quanto vicino è il rischio di una guerra civile?
È molto triste e si deve assolutamente evitare di cadere nel baratro di una violenza per motivi politici o una guerra civile. Constato personalmente come il popolo sia profondamente pacifico, ami la vita e voglia la pace per i propri figli. La prima preoccupazione del Papa è la pace di ogni Paese; questa è anche la priorità della diplomazia della Santa Sede. Egli è convinto che nessun popolo meriti la violenza e che nessun popolo debba essere obbligato a risolvere i propri problemi con la violenza. Il Papa ha scritto nei mesi passati diversi messaggi al Presidente e al popolo del Venezuela, in cui le parole più usate sono: pace, riconciliazione, dialogo, bene comune, perdono.
È possibile oggi in Venezuela pensare a un incontro tra le due fazioni politiche in cui è diviso il Paese?
La diplomazia del Papa si basa sull’incontro, senza allineamenti ideologicamente preconcetti. Pensiamo ai suoi incontri con leader come Raúl Castro, Barak Obama, Vladimir Putin, l’iraniano Hassan Rouhani o al desiderio di incontrare Xi Jinping, presidente della Cina; al riconoscimento dello Stato di Palestina e alla preoccupazione per la sicurezza di Israele; al contributo per favorire l’accordo di pace tra il Governo della Colombia e la Farc; all’apertura di nuove relazioni tra Cuba e Stati Uniti. Il Papa incoraggia sempre a tentare di aprire una porta, pur consapevole dei limiti e dei rischi, piuttosto che stare nell’immobilismo cronico della violenza. Questo incoraggiamento vale anche per il Venezuela.
Papa Francesco parla anche di perdono…
Il Papa non rinuncia neppure a considerare il perdono e l’amore al nemico, proprio del Vangelo, come a una categoria politica: nessuno è condannato a essere nemico per sempre. Il Papa suscita una speranza a livello mondiale perché vede con grande realismo la potenza del male che oggi opera nel mondo, fino a parlare di una “terza guerra mondiale a pezzi” in corso, ma riconosce anche che l’umanità è capace della strada del bene e spinge al coraggio del bene.
In questa situazione di grave tensione, come vede il suo ruolo di nunzio?
C’è un principio della “Evangelii gaudium” che mi ha guidato dal primo giorno del mio arrivo in Venezuela, il 3 febbraio 2014: l’unità prevale sopra il conflitto. In una situazione di conflitto ci sono tre possibilità: guardare il conflitto e continuare nell’indifferenza; esserne talmente coinvolti da non avere alcuna luce per una proposta di soluzione; ma la terza possibilità, propria degli “operatori di pace”, è avere coscienza del conflitto e soffrirlo, avendo la sapienza per aprire dentro il conflitto un processo di riconciliazione. Il Papa ama il concetto di processo. Io cerco, con umiltà, di credere che è sempre possibile iniziare un processo, soprattutto con i tanti incontri che vivo.
Quale il contributo della Chiesa cattolica locale e universale?
Le principali responsabilità sono tenere viva la speranza, la solidarietà concreta, l’azione educativa e la non violenza. Il fatto che il popolo del Venezuela si professi nella gran maggioranza cristiano e cattolico suscita l’interrogativo su come e quando quest’unica fede sarà capace di superare la polarizzazione e il conflitto e spingere tutti a cercare il bene comune del popolo.
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