C'é una nuova migrazione
L’Italia è diventata soprattutto un approdo di speranza per i rifugiati.
Deve crescere la nostra capacità di capire gli immigrati, di distinguere casi e contesto, altrimenti si rischia di generalizzare, di confondersi e di creare barriere che portano a rabbia, paura, razzismo. La mancanza di ascolto, di confronto e di conoscenza è la mamma del pregiudizio e dello stereotipo.
Il fenomeno migratorio in Italia non è sempre stato identico a se stesso. Fino a qualche anno fa le persone che arrivavano cercavano per la grande maggioranza di migliorare le loro condizioni economiche: erano qui per trovare lavoro. Nel primo decennio del 2000 il saldo migratorio (tra persone in entrata e in uscita) ha toccato una media annua superiore alle 310mila persone; negli anni seguenti, tra il 2011 e il 2015 la media è scesa al di sotto delle 250mila. Nei due periodi in questione oltre alla diminuzione del numero sono cambiate, per molti le motivazioni di ingresso nel nostro paese: cresce in modo esponenziale il numero dei richiedenti asilo che se lo scorso anno erano più di un terzo, già nei primi sei mesi del 2016 hanno raggiunto le 122mila unità, per capire l’impatto si consideri che in tutto il 2013 ne arrivarono circa 22mila.
C’è una mutazione nelle cause di ingresso nel nostro paese: se prima la maggioranza era per ragioni lavorative ora è per ragioni umanitarie. Se cambiano causa e contesto è necessario intervenire sui processi di accoglienza e integrazione nel nostro Paese. Accettare la sfida è possibile. Un esempio è l’accordo stipulato in questi giorni tra Confindustria e il ministero degli Interni sull’inserimento lavorativo dei rifugiati, che finora non possono lavorare nel nostro paese finché non vedano riconosciuto il loro diritto di asilo, procedura non automatica che richiede tempi molto lunghi. Rendere accessibile ai rifugiati (i nuovi immigrati) il lavoro è uno strumento di inclusione perché li aiuta a non perdersi in una nuova società e a recuperare una dignità, che le istituzioni dello Stato da cui fuggono nega loro; inoltre ne favorisce il riconoscimento sociale e l’inserimento nella comunità locale dove sperimentano l’accoglienza, e soprattutto aiuta a combattere l’immaginario e cioè che siano persone nullafacenti che vivono sulle spalle dei contribuenti italiani
Il cambiamento pone una nuova evoluzione delle modalità di accoglienza in Italia, che affronta l’emergenza, ma deve anche modificare le pratiche di ospitalità successive. Un intervento impegnativo ma non impossibile: nella nostra storia abbiamo già affrontato le trasformazioni del fenomeno migratorio: negli anni Ottanta e Novanta del ‘900 abbiamo iniziato a essere un Paese che accoglieva immigrati e il contesto storico ci portava a svolgere il ruolo di snodo per il transito verso altre destinazioni; nel periodo successivo siamo diventati una meta e abbiamo iniziato realmente a confrontarci con le questioni di una società multietnica; oggi diventiamo approdo di speranza per i rifugiati. La storia ci chiede questo.
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