Cercare in Ucraina l'uscita negoziata dalla crisi
Il segretario di Stato vaticano in Bielorussia sul ruolo del governo di Minsk e sul contributo della Santa Sede: "Penso che la mia presenza possa appoggiare lo sforzo che si sta facendo a livello del governo locale". Sugli altri scenari di crisi: "Ci sembra che l'Onu possa essere uno strumento valido per gestire le questioni - questo lo abbiamo sempre detto, lo crediamo - però un'Onu rinnovata rispetto alla nuova realtà"
“La parola pace racchiude un generale desiderio dell’umanità che la Chiesa raccoglie e fa suo”. Usa queste parole il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano e primo collaboratore di papa Francesco, per spiegare l’azione diplomatica della Santa Sede. Un’azione che vede la Chiesa impegnata su vari fronti per ricucire rapporti, favorire la pacificazione dei conflitti, promuovere la riconciliazione. Il cardinale ne parla a Roma agli studenti e ai professori della Pontificia Università Gregoriana intervenendo al Dies Academicus con una relazione su “La pace: dono di Dio, responsabilità umana, impegno cristiano”. “L’azione diplomatica della Santa Sede - dice - non si accontenta di osservare gli accadimenti o di valutarne la portata, né può restare solo una voce critica. Essa è chiamata ad agire per facilitare la coesistenza e la convivenza fra le varie Nazioni, per promuovere quella fraternità tra i Popoli, dove il termine fraternità è sinonimo di collaborazione fattiva, di vera cooperazione, concorde e ordinata, di una solidarietà strutturata a vantaggio del bene comune e di quello dei singoli”. In partenza per la Bielorussia, il cardinale si ferma volentieri a parlare con i giornalisti, a margine dell’incontro alla Gregoriana.
Minsk sta svolgendo un ruolo di ponte per il conflitto ucraino. A quali iniziative dal punto di vista diplomatico, la Santa Sede si sta predisponendo?
“Non ci sono iniziative particolari a cui pensiamo. Stiamo seguendo molto da vicino la situazione. C’è stato questo contatto diretto con i vescovi ucraini che sono venuti in visita ad limina, e con loro abbiamo potuto anche rivedere un po’ la situazione. Io credo che anche questa visita in Bielorussia abbia un particolare significato in questo momento e tenendo appunto l’occhio rivolto alla situazione ucraina, proprio per il ruolo che il governo di Minsk vuole esercitare nei confronti dell’Ucraina: cercare appunto un’uscita negoziata e pacifica alla crisi. In questo senso l’abbiamo già fatto varie volte negli interventi della Santa Sede e io penso che la mia presenza possa appoggiare questo sforzo che si sta facendo a livello del governo locale”.
In una situazione estremamente ingarbugliata, la pace come può essere possibile?
“La pace è possibile? La pace è possibile se c’è volontà di costruire la pace. Perché i meccanismi di per sé ci sono tutti, certamente si possono migliorare e certamente si possono perfezionare, però abbiamo già a disposizione sia un corpo normativo, sia molti strumenti che possono permettere una soluzione. Anche nella crisi ucraina ci sono stati interventi di varia natura. Ci vuole la capacità di volere la pace e di credere che la pace sia veramente un valore supremo. E come dicevano i Papi, ‘con la pace nulla è perduto, con la guerra tutto è perduto’”.
Nel suo discorso all’Onu, lamentò un atteggiamento contradditorio e anche una certa indifferenza della comunità internazionale rispetto ai vari scenari di guerra: Siria, Iraq, Ucraina… Pensa sia ancora così?
“Purtroppo ci si abitua un po’ a queste cose. Credo di sì, che ci sia un po’ di indifferenza: anche per esempio il conflitto in Siria, che continua ad essere devastante, non attira più l’attenzione che poteva avere in un primo momento. È questo il pericolo più grande: che ci si dimentichi e che queste situazioni di conflitto poi incancreniscano e continuino a provocare sofferenze. Bisogna continuamente essere attenti, essere vigilanti e continuamente proporre iniziative che possano aiutare, anche se molte di queste poi non raggiungono gli scopi per cui sono state pensate e organizzate”.
C’è il problema della riforma dell’Onu. È possibile immaginare dei progressi in questa direzione affinché la comunità internazionale possa ritornare ad essere operativa?
“Finora piuttosto ci si è limitati a prendere atto che lo scenario mondiale è cambiato, che non ci sono più, diciamo, gli attori di un tempo, che ne sono apparsi altri. Le soluzioni ancora non si sono trovate, o per lo meno non sono state decise e accettate. Noi continuiamo a insistere su questo, ogni volta che ci è data la possibilità ma sinora nulla è cambiato. Speriamo che davvero si vada avanti, perché ci sembra che l’Onu possa essere uno strumento valido per gestire le questioni - questo lo abbiamo sempre detto, lo crediamo - però un’Onu rinnovata rispetto alla nuova realtà alla quale ci troviamo di fronte”.
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