Elezioni del 25 settembre, tra crisi d'identità e dinamismo schizofrenico
La rottura tra Calenda e il Pd è l'ultimo esempio di come il campo del centrosinistra italiano sia frammentato e in crisi d'identità
L'ultima battuta l'ha regalata Carlo Calenda, il capo di Azione. Giusto ieri, a Rai 3, ospite di Lucia Annunziata, l'ex ministro allo sviluppo economico ha disatteso l'impegno preso neanche una settimana fa con il Partito Democratico. Impegno che lo vedeva come alleato in quell'allenza che il segretario Pd Enrico Letta vedeva come unico modo per ridurre i "danni" di una quasi sicura vittoria dello schieramento di destra alle prossime elezioni del 25 settembre. Una decisione, quella di Calenda, che è stata accolta con non poca ilarità e, davvero, una malcelata simpatia verso una personalità che negli ultimi anni ha dimostrato una forte dinamicità nel prendere decisioni nette anche se in netto contrasto le una dalle altre. Calenda è l'ennesimo politico che si dà il proposito di costruire una forza alternativa allo schieramento Pd (una volta si poteva aggiungere anche l'M5S, ma per il momento corre a parte) e quello di Fratelli d'Italia, Lega e Forza Italia. Si può tranquillamente sostenere che il suo atteggiamento altro non è che una sintesi del quadro
pazzoide che ha attraversato il variegato e a volte imprecisato fronte del centrosinistra italiano. Fino al 2011 quantomento si poteva intravedere un nemico comune contro cui convogliare tutte le forze e l'elettorato di riferimento, cioè Silvio Berlusconi e tutto quello che ha caratterizzato l'esperienza dell'antiberlusconismo. Dalle elezioni del 2013, all'indomani del successo elettorale del Movimento 5 Stelle, il contesto politico italiano è mutato. Pur nella sua densa trasversalità, i Cinque Stelle hanno pescato a man bassa nell'elettorato del Pd grazie anche ad una comunicazione di forte discredito dello stesso partito. Quindi un'accesa competizione all'interno del suo elettorato di riferimento ha contribuito al suo frazionamento, mentre a destra lo scenario è cambiato in un modo meno conflittuale. Ad oggi i rapporti di forza sono profondamente stravolti. Berlusconi non è più il traino della coalizione e anche Salvini, che soli 4 anni era alla testa del partito più votato della coalizione, ora vede la sua figura ridimensionarsi a vantaggio di Giorgia Meloni. Tuttavia, lo scontro, che pure c'è, non è deflagrato in un modo tale da rendere improponibile l'alleanza di centro destra, sempre più solo destra.
Nel centrosinistra questo non è accaduto. Complice anche la storica e invincibile tendenza alla divisione delle varie anime che dicono di compore quella parte politica. Se è vero che il Movimento, un tempo guidato direttamente da Beppe Grillo, si rivolgeva pure all'elettorato di destra, la sua presenza ha inciso maggiormente nel territorio del Pd. E' vero anche che elettori di decenni fa ora votano a destra, ma questo non cambia la sostanza attuale. Fino a pochi anni fa un percorso comune tra Pd e Cinque stelle sembrava alquanto improbabile. E oggi sembra (salvo qualche sorpresa in vista dell'ultima settimana disponibile per depositare le candidature) essere ritornati al conflitto originario.
Ciò che è accaduto recentemente dimostra la forte crisi d'identità che attraversa quella parte di elettorato ad iniziare dal Partito democratico e poi scendere fino all'ultimo rivolo. L'ultimo è stato Calenda, come detto. Riepilogando: Calenda giorni fa aveva deciso di stringere un'alleanza elettorale con il PD di Enrico Letta con l'obiettivo di osteggiare con maggiore compiutezza lo schieramento avversario e, nelle intenzioni verbali del leader di Azione, quello di proseguire con l'esperienza governativa di Mario Draghi e, in caso di successo, implementarne i progetti rimanenti e quelli in cantiere. Ne era seguito un accordo, che privilegiava non poco la componente facente capo ad Azione e Più Europa (che con il primo aveva creato una federazione, oggi morta e sepolta). Nel riparto dei seggi, come calcolato da alcuni esperti di dinamiche elettorali, nel complesso dell'alleanza questi si erano accaparrati il 24 % dei seggi uninominali (ben 54 potenziali eletti). Questo accordo come sapete non esiste più. Cancellato da Calenda in diretta tv. Il motivo? L'accordo ulteriore siglato da Letta con Sinistra Italiana-Verdi e Impegno civico di Luigi Di Maio e Bruno Tabacci. Calenda in ciò vede venire meno la promessa di Letta a portare avanti l'agenda Draghi e a candidare persone che condividono tale assunto. Tutto questo è avvenuto in poco meno di una settimana. Una settimana estiva. Di Agosto. Nel pieno delle vacanze degli italiani che possiamo solo immaginare con quale interesse seguano questi avvenimenti.
L'elemento interessante di questa vicenda è che hanno quasi tutti ragione nonostante la palese diversità e contraddizione di quella che era fino a ieri la coalizione con Azione dentro. Una contraddizione che profuma potentemente di ambiguità. Partiamo dalla caduta del governo Draghi. Letta, il più fedele al premieir tra i leader di partito, annuncia che non ci sarà spazio a fianco del Pd a chi ha fatto cadere Draghi. Ecco quindi la direzione di convergere con Azione e di staccarsi da Giuseppe Conte e il suo movimento. Ma allo stesso tempo ci sono le destre e Giorgia Meloni da battere perché rappresentano un pericolo per il futuro del paese. E allora? Allora si stringe un accorso pure con Di Maio (fuoriuscito dal M5s e adesso riscopertosi fedelissimo di Draghi) e la lista creata da Fratoianni e Bonelli, che, si, sono contrari con tutto se stessi alle destre ma di Draghi non condividono alcunché. Pochi giorni fa Fratoianni ha anche votato in Parlamento contro l'adesione di Svezia e Finlandia alla Nato. A proposito di agenda Draghi, Angelo Bonelli, portavoce dei Verdi, ha inviatato Calenda ad andare in cartoleria per trovarne una. Capito l'alleanza? Quindi, accade questo e Calenda ritratta e non ci sta. Ma solo che lui sapeva benissimo che Letta si stesse muovendo in quella direzione, perché un accordo, se non nei particolari della ripartizione dei seggi, con Sinistra Italiana e Verdi era stato raggiunto. E questa componente mostrava tutta l'intenzione (vuoi anche per convenzienza elettorale) di inserirsi nell'alleanza che ruota attorno al Pd e senza avere interesse a intavolare una trattativa con Conte, che si era detto disponibile ad accoglierli. Infatti, tutto questo è precedente all'intesa tra Pd e Azione. Quindi, di cosa si meraviglia Calenda? Se l'alleanza, pur nella simpatica ambiguità di voler continuare lo spirito dell'esperienza Draghi e costituire un'argine alle destre, per cui si apre a Si-Verdi e si chiude a M5s. Anche se Fratoianni, che di Si è il segretario, ha votato ostinatamente contro ogni qual volta si presentava la diducia in Parlamento. Per Calenda e Azione il passo più logico da fare era convergere con Italia Viva di Matteo Renzi così da presentare una lista alternativa all'offerta politica presente capace di fare breccia nell'elettorato mediano di entrambi i poli. Tuttavia, la mossa di Calenda ha in parte complicato questo piano e rivitalizzato Renzi rimasto a correre da solo. Forse voleva influire sul posizionamento del Pd, nonché avere qualche vantaggio dal punto di vista della rappresentanza parlamentare. Ma lo stesso Pd sembra oggettivamente navigare alla cieca. Prima di qualche mese fa, le coordinate elettorali lo portavano insieme al M5S con cui ha governato. Finito Draghi ha voluto reinventarsi un suo perimetro, ma senza che esso venisse specificato in modo coerente.
Si fa fatica a seguire il comportamento dei capi partito in questi anni. Anche se si designano progetti e visioni future. Esponenti come Calenda seguono un metodo d'azione situazionista e talvolta improvvisato mancando di cogliere alcuni dati utili sul lungo periodo. In Italia c'è una fetta molto ampia di persone che non votano alle elezioni. Una parte di essi perché delusi dai partiti di riferimento, per esempio Pd, Forza Italia, alcuni della Lega e via dicendo i quali non disdegnerebbero l'appoggio a un nuovo soggetto politico che si muove in quel terreno di confine ai due schieramenti maggioritari identificabile con un profilo liberale e sociale, lontano dalle pulsioni estreme di ambo le parti. Invece, Calenda ha deciso di tirarsi dentro in un accordo con il Pd salvo poi ritrattarlo per mosse facilmente prevedibili. Oltre all'ovvio sorriso per il modo di pensare e agire legato all'ora per ora, emerge il problema dell'identificazione a una storia e un percorso. Quello di Azione, che si stava costruendo con fatica, ma che era in parte premiato dai sondaggi e da alcune competizioni elettorali locali. Di sicuro la vita di Azione non è finita ieri, ma per Calenda è stato il più grande inciampo da quando si è calato nell'agone politico. Adesso la cosa da fare è raggiungere un patto con Renzi, cercando il più possibile di delimitare i rispettivi ego. Ricordando che anche atteggiamenti come questi, che sono considerati irrazionali se non folli, contribuiscono non poco a far desistere l'elettora dal recarsi al seggio la domenica del voto. Azione e Italia Viva hanno un programma comune e non c'era motivo di marciare divise. Come non esiste uno adesso che si ritrovano entrambi fuori dalle grandi coalizioni e questo suggerirebbe che è arrivato il momento di deporre dannosi personalismi in virtù di un progetto più rilevante.
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