Fritz Michael Gerlich, giornalista e testimone della fede sotto il tallone del nazismo
È uscito all’inizio dello scorso luglio, presso l’editrice tedesca Schoenling, un accurato saggio dedicato al giornalista cattolico che Hitler fece assassinare senza processo a Dachau il 30 giugno 1934 sull’onda della mattanza degli avversari politici nota alla storia come “la notte dei lunghi coltelli”. La pubblicazione del libro, dello storico Rudolf Morsay, ha preceduto di pochi giorni la notizia dei preparativi per l’apertura del processo di canonizzazione di Gerlich
È uscito all’inizio dello scorso luglio, presso l’editrice tedesca Schoenling, un accurato saggio dedicato a Fritz Michael Gerlich, un giornalista cattolico che Hitler fece assassinare senza processo a Dachau il 30 giugno 1934 sull’onda della mattanza degli avversari politici nota alla storia come “la notte dei lunghi coltelli”. La pubblicazione del libro, dello storico Rudolf Morsay, ha preceduto di pochi giorni la notizia, data anche dal Sir, dei preparativi per l’apertura del processo di canonizzazione di Gerlich. Si ripropone quindi una figura di testimone che riscatta la passività di tanti cristiani durante i dodici anni del Terzo Reich, insieme con quella di un altro giornalista, Nikolaus Gross, impiccato dopo il fallito attentato a Hitler del 14 luglio 1944, e canonizzato nel 2001.
Essi fanno parte dell’elenco dei circa 140 martiri cattolici del nazismo riconosciuti ufficialmente dalla Conferenza episcopale tedesca.
Inconsapevole profezia. Ma Gerlich è fra gli antesignani della resistenza dei credenti laici, uno fra quelli (e non saranno molti, anche se eroici) che aveva saputo individuare per tempo di quale pasta fossero fatti il nazismo e il suo capo, il cui solo obiettivo era la distruzione. Aveva cominciato a combattere “la devianza di Hitler che porterà alla barbarie”, quando dirigeva una delle più autorevoli testate tedesche, le Muenchener Neuesten Nachrichten di Monaco di Baviera, e
definiva il nazismo “una peste dello spirito”, “una degenerata politica asiatica del capo” e “uno dei maggiori tradimenti della storia tedesca”.
Di famiglia calvinista, politicamente moderato, anticomunista e antirazzista, si era convertito al cattolicesimo attorno ai cinquanta anni, su influsso della veggente, poi beata, Teresa Neumann. Lo aveva battezzato e cresimato il cardinale di Monaco, Michael Faulhaber, aggiungendo appunto il nome Michael a quello proprio, Fritz, perché – disse il porporato in una inconsapevole profezia – “sia deciso a lottare come l’angelo contro le forze del male che si profilano all’orizzonte”.
“La via dritta”. Aveva lasciato le Nachrichten perché preoccupato dell’atteggiamento passivo di molti cristiani, e senza dubbio di parte delle stesse gerarchie, fondando nel 1932 un settimanale, Der gerade Weg (“La via dritta”) che aveva come sottotitolo “Giornale tedesco per la verità e la giustizia”: la sua lettura faceva letteralmente infuriare Hitler sia per il tono polemico degli articoli, sia per una riuscitissima serie di caricature e vignette. Nonostante i rischi e le minacce, le multe, gli attacchi fisici dei nazisti e le difficoltà amministrative, in tempi nei quali si profilava il successo del “mentecatto” (così Hitler era definito), il giornale arrivò a diffondere parecchie decine di migliaia di copie. Anche nella famiglia Ratzinger (come ha ricordato lo stesso Benedetto XVI nel libro-intervista “Luce del mondo”) si leggeva “Der gerade Weg”, apprezzato dall’arcivescovo Faulhaber, oltre che dal clero e dal pubblico.
Senza illusioni. Gerlich tuttavia sembrava essere senza illusioni. Aveva scritto: “Saremo i primi a essere impiccati quando comincerà il giorno della ‘libertà’ del popolo tedesco”. Dava l’allerta circa l’atteggiamento quasi indifferente di molti cristiani, specialmente cattolici, sostenendo, non senza ragione, che il nazismo intende “far proclamare, nelle chiese ripulite dai crocefissi, la nuova religione del mito della razza”. E aveva anticipato, anche se non potrà vedere realizzata la sua profezia, che
“il nazismo è destinato a crollare molto prima del comunismo: il suo destino è scoppiare come una bolla di sapone, perché in nessuna parte del suo programma si ispira alle grandi correnti di pensiero dell’umanità”.
La politica del nazionalsocialismo significava, secondo Gerlich, “inimicizia con i Paesi vicini, all’interno dominio della violenza, guerra civile, scontro di popolo”. Ma il suo messaggio era essenzialmente religioso e, in una prospettiva spirituale di largo respiro, non rinunciava a motivi di speranza.
“Non mi uccido, sono cattolico”. Insieme con altri oppositori di Hitler Gerlich fu arrestato nel marzo del 1934; torturato e spinto al suicidio dai suoi carnefici rispose però: “Non mi uccido, sono cattolico”, e si raccolse in preghiera. Il giornale fu naturalmente soppresso e, come abbiamo detto, il giornalista venne fucilato a Dachau; il suo corpo fu bruciato e le ceneri sparse al vento. Ai giornali si proibì di dare notizia dell’avvenimento e alla moglie fu impedito persino di pubblicare un annuncio funebre. Ma la storia e la Chiesa rendono oggi memoria a un testimone di valori.
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