Gioco d'azzardo? Vietare totalmente la pubblicità
Un coro di critiche ha seguito l'accordo tra la Federazione italiana gioco calcio e la società di scommesse Intralot per la sponsorizzazione della Nazionale italiana. Per Marco Tarquinio, direttore di "Avvenire", "non si può tollerare che l’azzardo sia presentato come una realtà che affianca i percorsi socio-educativi e di comunicazione valoriale". Il compito della politica, che non riesce a portare a conclusione le iniziative di legge per regolamentare il settore, e l'impegno del mondo cattolico che ha "un ruolo di denuncia e di sostegno alle vittime, ed è stato capace di fare alleanza con tante altre realtà associative".
Circa 16 milioni di italiani hanno giocato d’azzardo almeno una volta nell’ultimo anno. E non è difficile farlo se si hanno a disposizione 418mila slot machine, 4.823 videolotteries e migliaia di esercizi commerciali in cui poter puntare al Lotto, al Bingo e al Gratta&Vinci. Senza scordare la sterminata prateria dell’online. Le entrate fiscali per il 2015 superano gli 88 miliardi di euro e lo Stato ne incassa 8,7 miliardi. Un giro d’affari lucroso, se non fosse per i costi sociali e sanitari che il gioco d’azzardo patologico comporta per la collettività: almeno 6 miliardi all’anno, secondo la stima del cartello di associazioni che ha dato vita alla campagna “Mettiamoci in gioco”. A riaccendere il dibattito in questi giorni, è stata la notizia dell’accordo tra la Federazione italiana gioco calcio e la società di scommesse Intralot per la sponsorizzazione della Nazionale italiana. “È stato un autogol o, per dirla nel loro gergo, una scommessa persa. D’altronde chi gioca d’azzardo sa di correre un rischio, ma forse non hanno tenuto conto della reazione che avrebbe suscitato nel Paese”, afferma Marco Tarquinio, direttore di “Avvenire”, che per primo ha denunciato la partnership.
Possibile che la Figc non abbia considerato la gravità della decisione?
Si è sfruttata l’immagine così cara agli italiani della Nazionale di calcio, dalla maggiore agli Under-15, per veicolare un messaggio pericoloso. E lo si è fatto promuovendo una società di scommesse attraverso un’attività sportiva che si svolge durante l’arco della giornata, tra campionati e avvenimenti vari, occupando anche la fascia oraria preclusa ai media per la pubblicità dell’azzardo.
Noi chiediamo che la proibizione della pubblicità sia totale perché i limiti attuali sono insufficienti e perché è evidente, come testimoniano i fatti, che basta un semplice escamotage per aggirarli. E poi non si può tollerare che l’azzardo sia presentato come una realtà che affianca i percorsi socio-educativi e di comunicazione valoriale.
Siamo arrivati al capovolgimento della realtà.
“Industria del niente” è la definizione che lei ha dato del business dell’azzardo.
Dicono che dia lavoro a 220mila persone e che sia la terza attività industriale del Paese. Ma è un’industria del niente perché non costruisce ricchezze, genera soltanto disagio e solitudine, distruggendo le famiglie. È tutto documentato in anni e anni di attività delle associazioni che si stanno battendo contro questa piaga sociale e di tutte le altre iniziative dal basso, che non appartengono soltanto al mondo cattolico. Lo Stato, però, ancora non prende atto della gravità del fenomeno.
Perché il legislatore non interviene?
Ci sono iniziative di legge chiuse in un cassetto del Parlamento. Non si riesce a portarle in fondo, benché siano già state definite in Commissione, iniziando ad esempio a vietare completamente la pubblicità. Sarebbe il primo passo per affrontare seriamente questa battaglia.
Le entrate fiscali da gioco d’azzardo sono un deterrente per lo Stato?
In realtà sappiamo che le entrate sono oscillanti, aumentano soltanto se cresce in maniera esponenziale la massa del gioco. Ciò conferma che si tratta di una tassa sui giocatori compulsivi e sui poveri, perché sono soprattutto questi i profili delle persone catturate da Azzardopoli. E ciò è doppiamente grave, perché
è una tassa di scopo scaricata sulle spalle dei settori più deboli della società con il risultato di accrescere ancora di più il disagio.
La Chiesa non arretra in questa battaglia?
Le parole pronunciate dagli uomini di Chiesa e dalle associazioni sono sempre state chiare. Sono stati i primi a comprendere la pericolosità del fenomeno, perché erano loro a doversi fare carico dell’onda di ritorno. Quelli che lottano contro gli strozzini, ad esempio, vedevano le persone rovinate dall’azzardo che finivano in pasto ai manigoldi.
Il mondo cattolico ha un ruolo di denuncia e di sostegno alle vittime,
ed è stato capace di fare alleanza con tante altre realtà associative nel progetto “Insieme contro l’azzardo”. Poi ci sono i movimenti dal basso – come i NoSlot o gli Slot Mob – che premiano chi fa la cosa giusta, chi libera i locali da slot machine e non propone i gratta e vinci. Se la Figc fosse almeno degna del coraggio degli edicolanti e dei tabaccai…
Anche il mondo dei media ha le sue responsabilità?
La nostra campagna è relativamente isolata, perché siamo tra i pochi a non essere tenuti alla cavezza dalle centinaia di milioni di euro che ogni anno i signori di Azzardopoli riversano sul sistema di comunicazione nazionale. Rendono docili e remissivi tanti giornalisti che hanno gli occhi aperti, ma faticano a scriverne. Noi abbiamo un editore che ci consente di fare queste battaglie, ma non tutti se lo possono permettere. E poi siamo sostenuti dai media cattolici e dai settimanali diocesani che ci hanno sempre sostenuto. Batteremo il chiodo finché è caldo. È un argomento faticoso, come l’avvelenamento del suolo o l’utero in affitto. Sono le grandi questioni, che toccano interessi corposi, ad essere difficili da schiodare. Ma se non siamo capaci di insistere su questi temi, a cosa serviamo?
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