Ilva, almeno si parta con la copertura dei parchi minerari
Nei prossimi giorni tornerà in funzione l'Altoforno 1. Nel frattempo, però, gli interventi più urgenti e onerosi restano al palo. Nuovi filoni d'inchiesta: l'inquinamento una volta finita la gestione Riva, il ruolo avuto dal ministero dell'Ambiente nell'autorizzare con decreto legge l'utilizzo di discariche interne allo stabilimento. Una partita legale infinita.
Taranto e Ilva. Una storia infinita che ormai si divide tra le aule del Tribunale di Taranto e quelle di Camera e Senato. In mezzo un altoforno da chiudere, o forse no, e altri impianti che ripartono senza le garanzie promesse, dopo mesi di stop per rimetterli a nuovo.
Afo 2. Lo scontro tra governo e magistratura, che la Procura di Taranto ha smentito in più di un’occasione a parole, nei fatti c’è ed è emerso ancora una volta nella vicenda Altoforno 1. Da una parte la magistratura, che dopo la morte di Alessandro Morricella, meno di due mesi fa, ha sequestrato senza facoltà d’uso Afo 2. Dall’altra il governo che con l’ottavo decreto Ilva, autorizza l’azienda a continuare a produrre, in quanto d’interesse strategico nazionale, dimostrando entro un mese come intende procedere per l’adeguamento della sicurezza dell’impianto. La Procura ionica, attraverso un blitz dei Carabinieri e la denuncia dei 19 operai che in quel momento lavoravano in altoforno e per cui si è ipotizzata la violazione dei sigilli, ha posto un nuovo veto, rinviando alla Consulta qualsiasi decisione. In mezzo l’Ilva, che prova a far togliere i sigilli presentando un’istanza di dissequestro in cui parla di “errore umano” per l’incidente costato la vita all’operaio.
Il processo. Intanto c’è il primo punto sull’inchiesta “Ambiente svenduto”, che ha svelato i rapporti tra Ilva e poteri forti della città, mirati a mantenere uno “status quo” che per la Procura di Taranto ha portato al disastro ambientale. Nessuna assoluzione per i 47 indagati nella fase di udienza preliminare, iniziata a metà marzo e conclusasi solo qualche giorno fa. Gli imputati andranno tutti a processo. S’inizierà il 20 ottobre. Il gup Vilma Gilli ha rinviato a giudizio 3 società e 44 persone fisiche. Tra loro anche l’ex governatore della regione Puglia, Nichi Vendola, accusato di concussione aggravata in concorso. Secondo l’accusa avrebbe messo sotto pressione il direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assenato (a sua volta accusato di favoreggiamento per aver coperto tale condotta dell’ex presidente, ndr) perché limasse le posizioni dell’Agenzia regionale di protezione ambientale sulle emissioni nocive del siderurgico. A processo andranno anche, tra gli altri, i proprietari del siderurgico Fabio e Nicola Riva (il patron Emilio Riva è deceduto, ndr), l’ex presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido, l’attuale sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno, l’ex responsabile delle pubbliche relazioni, Girolamo Archinà, che tesseva i fili dei rapporti dello stabilimento con la politica, i sindacati e anche periti incaricati dalla Procura. Dei cinque imputati che hanno chiesto il rito abbreviato, è stato assolto l’ex assessore regionale all’Ambiente Lorenzo Nicastro. Condannato invece un ingegnere dell’Arpa, Roberto Primerano, per falso ideologico (3 anni e 4 mesi) e don Marco Gerardo, ai tempi dell’inchiesta segretario dell’allora arcivescovo della diocesi di Taranto, monsignor Benigno Papa. Dieci mesi di reclusione, così come chiesto dalla Procura, per favoreggiamento nei confronti di Archinà. La Curia in merito si è espressa con una nota ufficiale: “L’arcidiocesi di Taranto prende atto della sentenza emessa questa mattina dal Gup e resta in attesa delle motivazioni che saranno depositate nel termine di novanta giorni come indicato dallo stesso Gup nel dispositivo della sentenza medesima. Restiamo fiduciosi che le ragioni difensive del sacerdote Marco Gerardo siano rivalutate in un ulteriore procedimento dei giudici di secondo grado”.
Nuovi filoni di inchiesta. Ma per un processo che inizia, ci sono altri capitoli sul caso Ilva che si aprono. La Procura di Taranto infatti non ha mai smesso di indagare. Due le strade su cui si stanno concentrando le attenzioni di Franco Sebastio, a capo del pool che comprende il procuratore aggiunto Piero Argentino e i sostituti Mariano Buccoliero e Giovanna Cannarile. Il primo riguarda l’inquinamento dell’Ilva una volta finita la gestione Riva, dopo le tante segnalazioni di emissioni fuori norma ricevute da parte degli ambientalisti, che hanno portato ad aprire nuovi fascicoli. Il secondo filone di questa seconda inchiesta della Procura, invece, riguarda il ruolo che il ministero dell’Ambiente ha avuto nell’autorizzare con decreto legge l’utilizzo di discariche interne allo stabilimento. Nel 2013 la regione Puglia non rinnovò l’autorizzazione all’utilizzo e da Roma corsero ai ripari. Ora s’indaga per capire se nell’iter, che portò al decreto legge, fu tutto lecito e trasparente.
Prescrizioni Aia. Intanto Ilva, dopo i controlli dei tecnici d’Ispra e Arpa Puglia all’interno dello stabilimento, ha ufficializzato, con una nota, di aver superato l’80% delle prescrizioni ambientali che, secondo quanto stabilito dall’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), avrebbe dovuto adempiere entro fine luglio. L’Aia andrà completata entro l’estate prossima. Nei prossimi giorni tornerà in funzione l’Altoforno 1. Nel frattempo, però, gli interventi più urgenti e onerosi restano al palo. La copertura dei parchi minerari, ad esempio. Nell’Aia, infatti, non si stabilisce un ordine di priorità d’interventi. E così distese di minerale di ferro continuano a giacere a due passi dal centro abitato, mentre le polveri volano libere nell’aria di Taranto, accumulandosi nei balconi del quartiere Tamburi, della Città vecchia e del borgo cittadino, ma soprattutto nei polmoni di tanti tarantini, che non possono smettere di temere per la propria salute.
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