Jihdaismo: dieci cose da sapere
Dieci cose da sapere su un fenomeno che, dal 2014, ha profondamente trasformato le nostre città e le nostre vite: il jihadismo. Abbiamo chiesto al professore Paolo Branca, esperto di islam e docente all'Università Cattolica di Milano, di stilarci un decalogo sugli aspetti più importanti del fenomeno, da dove nasce, come si trasforma, chi c'è dietro e come e chi lo deve combattere.
Armati di kalashnikov e coltelli. Imbottiti di esplosivo. Da soli o in gruppi organizzati. Il terrorismo è entrato nelle nostre case e da quando ha cominciato ad infliggere i suoi primi mortali colpi, la sfida è stata quella di sconfiggerlo e, soprattutto, di non permettergli di travolgere le nostre vite con la paura.
Secondo un recente Rapporto, redatto e pubblicato dall’Ispi, dal giugno 2014, anno in cui il sedicente Stato Islamico si è autoproclamato, al giugno 2017, ci sono stati 51 attacchi terroristici compiuti da 65 attentatori in 8 Paesi del mondo. Nei 51 attacchi sono morte 395 persone e ne sono rimaste ferite 1.549 (il dato esclude il numero degli attentatori). Ma chi sono i jihadisti? A chi e a quale corrente di pensiero fanno riferimento? Contro chi stiamo combattendo? E come si potrà vincere la battaglia? Lo abbiamo chiesto al professore Paolo Branca, esperto di islam e docente di lingua e letteratura araba all’Università di Milano, che per il Sir ha stilato in 10 punti una sorta di decalogo su tutto quello che si deve sapere sul fenomeno dello jihadismo.
1. Che cosa è (definizione del fenomeno). È una ideologia e una prassi di gruppi islamici radicali che conducono vere e proprie guerre (come nel caso dell’Isis) o forme di terrorismo per colpire nemici interni ed esterni al mondo musulmano nell’intento di ristabilire il Califfato o, comunque, imporre anche dal punto di vista politico e giuridico un governo di tipo islamico a territori abitati per la maggioranza da musulmani.
2. La radice “jihad”: che cosa significa. La radice del termine significa “sforzo”. Nel Corano che risale ai primi 12 anni della predicazione di Maometto nella sua città natale – La Mecca – jihad non significa mai “guerra”, semmai impegno e zelo per la nuova fede monoteistica avversata dai pagani.
3. Quando il termine “jihad” si trasforma. È solo dopo la forzata migrazione del Profeta e dei suoi seguaci a Medina, negli ulteriori 10 anni della sua missione, che la parola assume anche il senso di combattimento armato, di tipo però prevalentemente reattivo e difensivo. Dopo la morte di Maometto si crea il Califfato che somiglia a quello che fu da noi il Sacro Romano Impero. Il jihad divenne anche guerra di espansione e di conquista, ma solo l’autorità costituita lo poteva proclamare e doveva rispettare dei limiti dettati dalla legge islamica che vieta, ad esempio, di colpire donne, bambini, vecchi, malati e monaci.
4. Quando “jihad” diventa terrorismo. Il terrorismo è una invenzione della modernità. I jihadisti dicono che vogliono tornare al Califfato classico ma in realtà si comportano come tutti i movimenti estremisti moderni, di destra e di sinistra, con forme di violenza cieca e distruttiva. Questo salto tradisce una contraddizione interna e uno sbandamento ideologico (come le brigate rosse rispetto al partito comunista). E l’origine risale ai grandi ideologi dei movimenti islamici del ‘900, egiziani, pakistani, fino a Bin Laden e ora ai leader dell’Isis che teorizzano che “il sistema attuale si abbatte, non si cambia”. Teoria che sta purtroppo provocando un numero alto di morti, soprattutto tra i musulmani.
5. Il loro obiettivo. Si illudono di scalzare le attuali classi dirigenti di gran parte dei Paesi musulmani per restaurare il Califfato. In realtà vengono finanziati e strumentalizzati sia da potenze regionali che mondiali per mire egemoniche che portano alle estreme conseguenze divisioni etniche e religiose interne a quel contesto.
6. Chi sono i loro “nemici”. I loro nemici sono essenzialmente i musulmani che non la pensano come loro. Colpendo in Occidente esprimono il proprio odio per un sistema antitetico a quello che vorrebbero. Naturalmente non possono pensare di conquistate gli Usa colpendo New York, ma intendono mettere in crisi le alleanze tra Usa e, ad esempio, Arabia Saudita.
7. Si possono fisicamente riconoscere e come? Ovviamente dissimulano: se portassero lunghe barbe e divise particolari sarebbero immediatamente individuabili. Neppure un’intensa pratica religiosa è un segnale, infatti tendono a restare soli, non frequentano le moschee e si radicalizzano sul web.
8. Come si diventa jihadista. Spesso l’involuzione è rapida: soprattutto giovani poco religiosi e con grossi problemi, magari dopo un periodo in carcere, accumulano rabbia e desiderio di vendetta che qualcuno sa sfruttare abilmente offrendo loro un’opportunità illusoria di riscatto.
9. I jihadisti sono tutti e sempre pericolosi? Oltre alla prevenzione e alla repressione deve sempre esistere un contatto che si è avuto anche con altri tipi di terrorismo (vedi Brigate Rosse), soprattutto per distogliere coloro che hanno simpatia per la “causa” ma si dissociano dalla modalità con cui essa vien perseguita.
10. Come combattere la deriva jihadista. Chi ha preso le armi va contrastato anche militarmente rendendolo in condizioni di non nuocere. Ma la vera vittoria sarà quella di farli sconfessare dalla maggioranza dei credenti musulmani che non si riconoscono in loro e possono e devono esser rappresentati da ben altri soggetti, che già esistono ma a cui i media non offrono altrettanto spazio.
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