Nelle vacanze, il tempo per la preghiera ...ecclesiale
Preghiamo mai per la riuscita di "Firenze 2015"? Forse sarebbe il caso di farlo ed è bene dirlo prima a se stessi che agli altri. Il nuovo umanesimo in Gesù Cristo vuol dire anche rendere l'uomo sempre più immagine di Dio mantenendo un'attenzione profonda per l'uomo con il desiderio di venire incontro alle sue esigenze.
Le vacanze estive, le ferie, hanno sempre rappresentato per i credenti l’occasione giusta per ritemprare non solo il corpo ma anche, e forse soprattutto, lo spirito. Almeno nelle intenzioni. Anche perché il disimpegno, il riposo incondizionato, l’ozio nel suo significato meno etimologico, finiscono spesso per prevalere al termine di un anno molto tirato sul fronte del lavoro e della famiglia.
Se però l’intenzione persiste e la volontà ci sostiene, ecco che le vacanze si possono trasformare in concreta possibilità di arricchimento spirituale anche in vista degli importanti appuntamenti che in autunno attendono la Chiesa universale e quella italiana in particolare: il Sinodo sulla famiglia, il Giubileo della misericordia e nel mezzo il Convegno ecclesiale nazionale.
La preparazione a questi eventi deve essere per forza anche spirituale, fatta pure di preghiera.
Preghiamo mai per la riuscita di “Firenze 2015”? Forse sarebbe il caso di farlo ed è bene dirlo prima a se stessi che agli altri. Il nuovo umanesimo in Gesù Cristo vuol dire anche rendere l’uomo sempre più immagine di Dio mantenendo un’attenzione profonda per l’uomo con il desiderio di venire incontro alle sue esigenze. E Firenze, questa passione per Dio e per l’uomo la incarna attraverso la sua storia. Basta entrare in Palazzo Vecchio dall’ingresso di Piazza della Signoria per vedere sopra il portone il monogramma di Cristo di San Bernardino da Siena e la scritta, tra due leoni simbolo del popolo fiorentino, che recita: Rex regum et Dominus dominantium (Gesù Cristo, Re dei re e Signore dei signori). Riconoscendo Cristo come il Signore di Firenze e affermando che i fiorentini sono liberi e non devono rispondere a nessuna autorità umana. Nonostante questa scritta voluta da Cosimo I attenuasse la precedente ben più esplicita: Jesus Christus Rex florentini populi (Gesù Cristo Re del popolo fiorentino).
Le cose più belle di Firenze sono state fatte quando è stato più forte il legame tra le radici religiose e la vita del popolo. Il David di Michelangelo, simbolo religioso che diventa simbolo civile, è l’esempio più evidente. Ma non mancano nel capoluogo toscano altre sintesi artistiche di questo tipo, anche a livello di architettura. Pensiamo al complesso di Orsanmichele, che più che una chiesa sembra un palazzo: “L’altissimo parallelepipedo”, lo chiamava Piero Bargellini, spiegando come il nome derivi da Orto di San Michele, ovvero l’orto delle monache benedettine sul quale nel Duecento sorse la prima Loggia del grano (il mercato del grano), diventato poi santuario mariano.
Ci voleva proprio questo Convegno ecclesiale nazionale in cui la Chiesa si pone in dialogo invocando nella città culla dell’umanesimo un nuovo umanesimo, che non si chiuda alla trascendenza, dove l’uomo, avviando il riscatto della frammentazione del sapere e della sua stessa immagine, nel tempo dello strapotere della tecnica e della scienza, si riscopra microcosmo e impari a tessere una nuova relazione tra Dio, l’umano e il cosmo. Il tutto nel nome della bellezza, ieri e oggi. La bellezza che porta ad andare verso orizzonti alti, ricordando che oltre l’attrazione terrestre esiste l’attrazione celeste, che la forza di gravità è tale perché prima c’è una forza opposta che spinge verso l’alto.
In quest’Italia caduta così in basso, dove tutto è diventato scontro, dove si è perso il senso del bene comune, dove prevalgono gli egoismi e gli interessi di parte, c’è davvero bisogno di rimettere le cose al suo posto, di creare una scala di valori condivisi tra uomini di buona volontà.
C’è davvero voglia di mettere da parte, per dirla con il cardinale Gianfranco Ravasi, le bruttezze (sul piano estetico) e le brutture (sul piano etico) di questo nostro tempo. Sarà la bellezza a salvarci, come profetava Dostoevskij, ma anche ad unirci, tenendo conto che la bellezza, l’arte, secondo una felice espressione di Antonio Paolucci, è l’ombra di Dio sulla terra.
Senza la poesia, senza la bellezza, Dio rischia di rimanere un’astrazione, e la fede diviene incapace di parlare al cuore dell’uomo. La bellezza rimanda sempre all’Invisibile, a un Oltre, dove c’è posto per una nuova e più profonda relazione tra l’umano e il divino.
Approfittiamo allora delle vacanze per riscoprire nella bellezza anche il senso della preghiera.
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