Riforma della P.A., l'Italia si dà un vestito nuovo di zecca
Dalla lotta all’assenteismo tra i dipendenti al controllo sulle assenze per malattie; dalla licenziabilità dei dirigenti (se valutati negativamente) alla trasparenza sui documenti pubblici. E ancora: drastica riduzione delle società partecipate dagli enti locali (da 8mila a 1.000) e più facile commissariamento in caso di bilanci negativi. Dimezzamento delle Prefetture e riduzione delle Camere di commercio.
Dopo il via libera senza modifiche in Commissione Affari Costituzionali del Senato della scorsa settimana, il disegno di legge d’iniziativa governativa (ddl) sulla riforma della Pubblica Amministrazione è stato approvato questa mattina (4 agosto) in via definitiva dall’assemblea di Palazzo Madama. Il voto finale ha visto 145 voti a favore, 97 contrari e nessun astenuto. Soddisfatto tutto il governo a partire dal primo ministro Matteo Renzi, sulla via del rientro in Italia dopo la visita in Giappone. Soddisfatta soprattutto la ministra per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione Marianna Madia, principale artefice della riforma, che però si è subito premurata di sottolineare che ora si apre “la partita dei decreti attuativi” (con 15 deleghe previste, che verranno discusse a partire da settembre). La riforma rappresenta, infatti, lo “scheletro” di una serie d’interventi complessi, che andranno a toccare realtà e strutture amministrative con le quali ciascuno dei 60 milioni di italiani hanno quotidianamente a che fare. Nel descrivere i decreti che verranno presentati alla ripresa dei lavori parlamentari, la ministra ha parlato sostanzialmente di “due pacchetti”: il primo è quello cosiddetto antiburocrazia, mentre il secondo riguarda il “dimagrimento” della pubblica amministrazione. Con questa riforma l’Italia pone le basi per divenire, almeno nelle intenzioni, un Paese più moderno, efficiente, capace di rispondere con maggiore rapidità e precisione alle richieste di cittadini, imprese e organismi del privato sociale. Uno specchio di come funziona lo Stato. Tra le varie riforme messe in campo dal Governo, quella della pubblica amministrazione appare la più delicata e complessa insieme. Sia per il rilievo politico ed economico, facilmente intuibile se solo si pensa che lo Stato italiano dà lavoro a 3 milioni e 300mila persone; sia per le difficoltà applicative derivanti anche dalle prevedibili resistenze dei pubblici dipendenti a essere sottoposti a un regime lavorativo più severo e vincolante rispetto al passato. Anche le altre riforme messe in cantiere sono rilevanti: basti pensare a quelle costituzionali (Senato, Regioni), a quella annunciata sulla “prima casa” e l’Imu, alla revisione di Irpef e Ires, al “Jobs Act”, alla “Buona scuola”, al fisco, i rifiuti, la sanità, la sicurezza e controllo del territorio, l’ambiente, la Rai e il sistema radio-televisivo. La pubblica amministrazione, tuttavia, appare di maggiore impatto in quanto è il “biglietto da visita” di uno Stato. Da come si presenta, da come lavora, dall’accuratezza e determinazione con le quali risponde alle istanze dei privati cittadini o delle aziende, si vede come un Paese è in grado di “funzionare” e su quali valori basa il proprio operato: se di servizio e sostegno alla vita di tutti, oppure se di sonnacchiosa e noncurante difesa di posizioni di rendita (pubblica e finora intoccabile). Su questo i cittadini potranno valutare l’efficacia delle riforme che man mano si fanno avanti e divengono operative. Partendo magari dalle novità agli sportelli del Comune o delle Asl o dell’Inps, dove a volte si viene trattati bene, a volte no. |
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