Francesco ai detenuti di Palmasola: "reclusione non è esclusione"
Incontro del pontefice con i detenuti del Centro di Rieducazione di Santa Cruz, che lo hanno atteso a lungo tra paloncini gialli e bianchi. Francesco ha prima scoltato le testimonianze di alcuni dei presenti, che hanno raccontato la propria storia. Poi ha parlato per oltre dieci minuti, presentandosi come "un perdonato". Il Papa ha considerato i problemi della popolazione carceraria, fra cui il sovraffollamento e la lentezza della giustizia, auspicando una maggiore sinergia tra le Istituzioni.
“Quello che sta davanti a voi è un uomo perdonato. Un uomo che è stato ed è salvato dai suoi molti peccati”. Visitando il Centro di Rieducazione Santa Cruz-Palmasola, prima di incontrarsi con i vescovi per il congedo dalla Bolivia, il papa si è presentato così ai carcerati. “Non ho molto da darvi o offrirvi, ma quello che ho e quello che amo, sì, voglio darvelo, voglio condividerlo: Gesù Cristo, la misericordia del Padre”, ha proseguito, spiegando che l’amore che Dio ha per noi è “un amore attivo, reale. Un amore che ha preso sul serio la realtà dei suoi. Un amore che guarisce, perdona, rialza, cura. Un amore che si avvicina e restituisce dignità. Una dignità che possiamo perdere in molti modi e forme. Ma Gesù è un ostinato in questo: ha dato la vita per questo, per restituirci l’identità perduta”. I detenuti di Palmasola hanno atteso a lungo l'arrivo di papa Francesco. Palloncini bianchi e gialli nell'ampio e ventilato cortile, pronti a volare in cielo. Anche tanti bambini presenti, ai quali il Papa non ha fatto mancare la sua carezza. Prima di prendere la parola, il pontefice ha ascoltato le testimonianze di alcuni dei detenuti, che hanno raccontato la propria storie, le proprie ferite.
“Pietro e Paolo, discepoli di Gesù, sono stati anche prigionieri, sono stati anche privati della libertà”, ha ricordato Francesco nel corso del messaggio, durato oltre dieci minuti, che ha voluto dare ai presenti: “in quella circostanza, c’è stato qualcosa che li ha sostenuti, qualcosa che non li ha lasciati cadere nella disperazione, nell’oscurità che può scaturire dal non senso. E’ stata la preghiera. Personale e comunitaria”. La preghiera, ha spiegato il Papa, “ci preserva dalla disperazione e ci stimola a continuare a camminare”. E’ “una rete che sostiene la vita, la vostra e quella dei vostri famigliari”.
“Quando Gesù entra nella vita, uno non resta imprigionato nel suo passato, ma inizia a guardare se stesso, la propria realtà con occhi diversi. Non resta ancorato in quello che è successo, ma è in grado di piangere e lì trovare la forza di ricominciare”. Lo ha assicurato ancora il Papa, che ha esortato i detenuti di Santa Cruz ad affidare al “volto” di Gesù crocifisso “le nostre ferite, i nostri dolori, anche i nostri peccati. Nelle sue piaghe, trovano posto le nostre piaghe”. “Gesù vuole risollevarci sempre”, ha affermato il Papa: “Questa certezza ci spinge a lavorare per la nostra dignità”. “La reclusione non è lo stesso di esclusione - ha ammonito Francesco - perché la reclusione è parte di un processo di reinserimento nella società”. “Sono molti gli elementi che giocano contro di voi in questo posto”, ha ammesso il Papa: “il sovraffollamento, la lentezza della giustizia, la mancanza di terapie occupazionali e di politiche riabilitative, la violenza… E ciò rende necessaria una rapida ed efficace alleanza fra le istituzioni per trovare risposte”. “Non abbiate paura di aiutarvi fra di voi”, l’invito ai carcerati. A tutto il personale del Centro, il Papa ha assegnato il compiuto “di rialzare e non di abbassare; di dare dignità e non di umiliare; di incoraggiare e non di affliggere, di abbandonare una logica di buoni e cattivi per passare a una logica centrata sull’aiutare la persona”.
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