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Il baricentro della vita sono gli altri

Francesco ha posto la domanda di fondo: chi è il mio prossimo?

Parole chiave: papa francesco (323), angelus (31)
Il baricentro della vita sono gli altri

Cosa devo fare per ereditare la vita eterna? Chi è il mio prossimo? Dialogo tra lo scriba, cioè un giurista, un esperto della Legge, della Torà, e Gesù, che percorre le strade per raggiungere Gerusalemme. Domande che hanno una risposta fatta non di parole, ma di azioni, di gesti. Il dottore della legge cita a memoria il Deuteronomio – “Ascolta Israele…” – e il Levitico, ma Gesù gli ricorda che è nell’ascolto della Parola la risposta: “fa questo e vivrai”; “vai e anche tu fai così”.
Il brano di Luca è molto noto, il Samaritano che ebbe compassione dell’uomo malmenato dai briganti e lasciato sul bordo della strada. Un uomo, proveniente dalla regione della Samaria, che non conosce la legge come il sacerdote e il levita, che passano accanto all’uomo ferito ma non si fermano a soccorrerlo.
È un racconto che chiede un comportamento da imitare, che indica uno stile di vita, dice Papa Francesco all’Angelus, il cui baricentro non è la nostra persona, “ma gli altri, con le loro difficoltà, che incontriamo sul nostro cammino e ci interpellano”. Così come si è sentito interpellato il Samaritano da quell’uomo ferito, e verso il quale ha provato compassione, tanto da fasciargli le ferite e portarlo in un albergo a sue spese.
Il Samaritano si comporta così perché non ha titubanze, di fronte all’uomo sofferente, che chiede aiuto. Non ha nessuna incertezza e agisce: si fa prossimo. E senza saperlo, nella più totale gratuità, il Samaritano mette in pratica la Parola del Deuteronomio: “amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore con tutta la tua anima, e con tutte le tue forze”. E del Levitico: “amerai il tuo prossimo come te stesso”.
La domanda di fondo allora è: chi è il mio prossimo? “Chi devo amare come me stesso? I miei parenti? I miei amici? I miei connazionali? Quelli della mia stessa religione?… Chi è il mio prossimo?” si chiede Papa Francesco all’Angelus. Domande che pone a tutti noi perché se non ci sentiamo interpellati da chi si trova in difficoltà allora “qualcosa non funziona”. Il prossimo – colui che è a me prossimo – in un certo senso ha il volto di chi incontro per caso lungo la strada, l’altro che non conosco, che mi appare lontano, anche diverso da me tanto da creare subito un sentimento di diffidenza. Per venire ai nostri giorni, l’altro è il povero che incontriamo per strada, l’immigrato che cerca un futuro migliore sfidando l’arroganza e le violenze dei trafficanti di uomini, il pericolo del mare attraversato su fragili imbarcazioni; l’altro, il prossimo, è colui che incontriamo, sfruttato, insultato, picchiato. Il nostro è il tempo che ci porta a diffidare dell’altro, ad allontanarlo, a cacciarlo via.
E la risposta di Gesù alla domanda dello scriba – “vai e anche tu fai così” – non può lasciarci tranquilli. Non devo catalogare gli altri per decidere chi è il mio prossimo e chi non lo è”, dice Papa Francesco all’Angelus. “Dipende da me essere o non essere prossimo della persona che incontro e che ha bisogno di aiuto, anche se estranea o magari ostile”.
La Parola, dunque, e non le parole. Ciò che cogliamo in questo passo di Luca, è quell’agire che non conosce domande, che non si chiede se è o meno opportuno fare qualcosa, intervenire. La prudenza è una virtù, ma l’omissione è un peccato. Non parole, ma fare. Lo ripete Francesco, dalla finestra dello studio del Palazzo apostolico: “mediante le opere buone che compiamo con amore e con gioia verso il prossimo, la nostra fede germoglia e porta frutto. Domandiamoci – ognuno di noi risponda nel proprio cuore – domandiamoci: la nostra fede è feconda? La nostra fede produce opere buone? Oppure è piuttosto sterile, e quindi più morta che viva?” Mi faccio prossimo o semplicemente passo accanto? Sono di quelli che selezionano la gente secondo il proprio piacere?”. Saremo giudicati, ricorda Francesco, proprio sulle opere di misericordia; e saremo chiamati a rispondere se ci siamo fermati davanti al povero, al bambino affamato, al migrante che tanti voglio cacciare, ai nonni abbandonati, al malato solo in ospedale. Quei volti erano il volto del Signore.

Fonte: Sir
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