L'appello dei Vescovi francesi: "no alle strumentalizzazioni"
A una settimana dalla strage di Nizza, parla monsignor Georges Pontier, presidente dei vescovi francesi. La tragedia che si è consumata il 14 luglio , si è abbattuta con "una ferocia selvaggia, violenta e irrazionale". Qualcosa che ha di nuovo destabilizzato il Paese e forse "non sarà l’ultima". Per questo il vescovo lancia un appello alla "solidarietà nazionale" e ad abbassare i toni di una campagna elettorale che, da qui a un anno, si presenta già da oggi "calda" soprattutto sui temi della sicurezza.
Una settimana fa l’attacco mortale di un folle sulla Promenade des Anglais di Nizza provoca la morte di 84 persone. Si chiama Mohamed Lahaouiej Bouhlel e non è un “lupo solitario”. Il suo piano omicida – secondo le ultime notizie date alla stampa dal procuratore antiterrorismo François Molins – non è un gesto improvvisato, ad opera di un “radicalizzato express”. È premeditato da mesi e se ancora non esistono prove di un legame con Daesh, Bouhlel è dentro una rete di conoscenze che lo hanno “sostenuto nella preparazione e nell’attuazione” nella strage. Monsignor Georges Pontier è il presidente dei vescovi francesi e vive a Marsiglia, a pochi chilometri da Nizza, città porto, crocevia di popoli e culture.
A soli otto mesi dagli attacchi di Parigi, la Francia si ritrova di nuovo nell’incubo terrorismo. Come avete vissuto questo ultimo attacco?
È stato un attacco terribile, avvenuto il 14 luglio, giorno per noi della Festa nazionale che è una festa di unità del Paese, un momento familiare e festivo, con una serie di manifestazioni. Sapevamo molto bene che, purtroppo, un giorno o l’altro qualcosa di drammatico sarebbe di nuovo accaduto. I nostri responsabili politici ce lo avevano detto. Sapevamo che anche per la situazione internazionale correvamo questo rischio. Avevamo appena vissuto il campionato europeo di calcio, e non c’erano state da questo punto di vista difficoltà. E invece la tragedia si è consumata a pochissimi giorni dalla conclusione di Euro 2016 e ci ha colpito con una ferocia selvaggia, violenta e irrazionale, battendosi soprattutto su una folla composta di bambini, famiglie, abitanti di Nizza ma anche turisti stranieri. È qualcosa che ci ha destabilizzato e forse dovremmo cominciare ad assumere questo genere di eventi. Forse non sarà l’ultimo…
La notte stessa dell’attentato i vescovi francesi hanno subito reagito con un tweet scrivendo: “La solidarietà nazionale deve essere più forte del terrorismo”. Perché? Credete che la minaccia terrorismo possa dividere la Francia, anziché unirla nel dolore?
Siamo consapevoli che questo terrorismo – e il modo in cui si produce – può provocare divisione in una popolazione europea e francese che ha origini diverse. Può non solo dividere ma porci gli uni contro gli altri. Ad essere attaccati in modo particolare sono i francesi di religione musulmana. Sono accusati di essere solidali con questa gente completamente folle. Il richiamo alla solidarietà nazionale è un appello a tutti i francesi perché si riconoscano francesi, al di là della diversità della loro origine etnica e religiosa. Il terrorismo può dividere la Francia? Non lo auspico, non lo penso. Ma non posso certo nascondere che questo rischio esiste e che ci siano proposte populiste che vanno in questa direzione, creando fratture tra francesi. La nostra unità nazionale non è minacciata ma lo può essere. I corporativismi e le accuse possono essere spesso irrazionali.
Hanno accusato la polizia e il governo di scarsa presenza delle forze dell’ordine a Nizza. A una settimana dalla strage, è arrivato anche il tempo della polemica sul sistema sicurezza. Lei cosa pensa?
Ci troviamo purtroppo anche a un anno dalle elezioni nel nostro Paese e a qualche mese o settimana dalle primarie. Purtroppo quando si affrontano queste questioni di sicurezza in una maniera o nell’altra, si sa bene che ci sono delle strumentalizzazioni politiche e, in casi come questi, si prendono posizioni che cercano di essere più dure rispetto alle affermazioni degli altri, per apparire all’opinione pubblica più difensori del Paese. Se ci sono stati degli errori, non saranno certo i media o i politici ad accertarlo. Spetta alla polizia e alla giustizia stabilirlo con un’inchiesta che mi risulta essere in corso. Sarà l’inchiesta a dirci la verità. Il resto contribuisce solo alla divisione e dipende dal clima delle elezioni che si avvicinano.
In che cosa la Francia si è sbagliata in passato se oggi si ritrova al suo interno un nemico giovane, forte e pieno di odio?
È molto difficile rispondere con un sì o con un no a questa domanda. Ci sarebbero mille ragioni per spiegare perché ci sono giovani che vivono con profondo disagio la loro vita e questo momento storico del Paese. Ha sbagliato la Francia e in cosa ha sbagliato? Sicuramente la Francia ha commesso errori ma come li hanno commessi anche l’Italia o la Germani o ancora l’Inghilterra nella loro storia. Ciò che vedo oggi è che questi gruppi che ci minacciano all’interno dei nostri Paesi, minacciano anche e forse ancor di più i Paesi musulmani. Guardiamo ciò che succede in Iraq, in Siria ed è assolutamente drammatico. Qui in Europa siamo di fronte a una radicalizzazione che fa presa su persone fragili e che sono ideologizzate in maniera inimmaginabile. Ciò che è drammatico, è la follia omicida di questa ideologia che fa presa dappertutto. Abbiamo commesso degli errori? Forse abbiamo commesso più errori di altri. Abbiamo avuto una storia di colonizzazione che è finita più recentemente rispetto ad altri Paesi. E ci possono essere delle tracce di questa storia nel nostro presente. Ma posso anche dire che la maggioranza degli stranieri di origine, ma che sono nati e cresciuti in Francia, denuncia senza tregua questi attacchi voluti da Daesh e non ne è assolutamente responsabile. Posso anche dire che i primi a soffrire sono i musulmani per questa immagine che si da della loro comunità e religione.
Verso quale futuro guardare?
La soluzione? Ne indico due. Considerare ogni essere umano come figlio di Dio, mio simile e, dunque, una persona con la quale intraprendere un cammino di dialogo e di rispetto. Fare, cioè, esattamente tutto ciò che è
il contrario dell’odio,
E, quindi, stabilire rapporti di stima gli uni con gli altri. E poi la seconda è compiere atti, più che esprimere idee, per cambiare nel nostro Paese le mentalità, gli animi. Se ciascuno non lo fa nel suo piccolo, mai nulla di nuovo si muoverà. Ho molta stima per quello che l’Italia fa da decenni nell’accoglienza di popolazioni che vivono in Paesi dove non c’è più vita e vengono in Europa per cercare un futuro migliore. Possiamo, quindi, fare poco rispetto a ciò che l’Italia fa ormai da decenni, ma lo dobbiamo fare.
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