Mons. Piretto: l'estremismo della carità porta buoni frutti in Turchia
Dialogo e rispetto. Queste sono le due colonne su cui poggia la presenza della Chiesa a Smirne. A raccontarlo al Sir è mons. Lorenzo Piretto, vescovo della città turca, in questi giorni a Bolzano: “In 35 anni di presenza in Turchia ho sempre trovato persone aperte al dialogo e accoglienti. In Turchia viviamo quotidianamente il messaggio della carità. L’altro se accolto e rispettato si apre e a sua volta ti accoglie e rispetta”.
L’estremismo della carità, invocato da Papa Francesco nel suo recente viaggio in Egitto, gli piace. E tanto. È un estremismo che conosce bene, e che vive nel quotidiano da 35 anni, in una terra, la Turchia, attraversata da forti contrasti, ma che – ci racconta – “in realtà non è proprio come viene rappresentata”. A parlare è mons. Lorenzo Piretto, vescovo di Smirne, che in questi giorni si trova a Bolzano dove il 6 maggio, ordina sacerdote nella chiesa di Cristo Re il frate domenicano di origini bolzanine fr. Luca Refatti. “Da 35 anni sono presente in Turchia – racconta mons. Piretto – difficoltà ci sono, è vero. Ci vuole cautela e bisogna stare attenti, certo. Ma è così ovunque. Alle volte mi dicono che sono troppo ottimista. Ma non credo. In Turchia non ho mai avuto problemi. Ho sempre trovato gente disposta al dialogo e all’accoglienza. Certo bisogna avere un atteggiamento di apertura, dialogo e rispetto verso l’altro. I turchi sentono con forza la loro identità culturale, ma al tempo stesso sono persone aperte all’incontro e al dialogo”.
Stare tra la gente con umiltà. “Quando papa Francesco ha parlato dell’estremismo della carità, ho potuto rivedere passare davanti ai miei occhi questi anni – commenta mons. Piretto – e posso dire che è un estremismo positivo, che porta buoni frutti. Il messaggio della carità, che noi come comunità cristiana viviamo in Turchia, ci ha dimostrato che la gente se accolta e rispettata, si apre, e a sua volta ti accoglie e ti rispetta. Occorre mettersi con umiltà in mezzo agli altri. In tutti questi anni, come sacerdote, come religioso domenicano e ora come vescovo, il mio compito è quello di stare tra la gente, con atteggiamento di simpatia umana e religiosa”. “La Turchia – racconta mons. Piretto – è un Paese molto diverso dagli altri Paesi arabi. L’islam è molto più tollerante e accogliente. Non esiste tanto un’ostilità religiosa, quanto un’ostilità nazionalistica. Mi spiego. I turchi hanno un forte senso dell’identità e questo va rispettato. Hanno alle spalle una storia molto più ricca di altri popoli e questa storia va rispettata, perché fa parte del presente di questa gente”.
“Sempre accolto come uno di famiglia”. Mons. Piretto ha insegnato per anni latino nella facoltà teologica islamica: “Sono sempre stato accolto come uno di famiglia”. Non solo. “Nella mia esperienza di docente, ho sempre trovato una sana curiosità verso il cristianesimo, una disponibilità al dialogo, alla conoscenza”. In questi anni la comunità cristiana – che è una piccolissima minoranza – è cambiata molto. Se con il passare del tempo sono diminuiti i cattolici “europei”, sono però aumentati quelli filippini, emigrati giunti in Turchia per lavorare. “I cristiani giunti dall’Europa fin dai tempi del Medioevo sono andati via via scomparendo – spiega – e negli ultimi decenni la Chiesa cattolica si è andata inculturando. Non è più vista come una Chiesa straniera, ma come una Chiesa che vive in Turchia”. “Stiamo vivendo un processo di inculturazione straordinario e questo è il cambiamento più bello a cui ho assistito in questi anni”, commenta.
“La lingua non è un ostacolo”. Mons. Piretto e gli altri sacerdoti della diocesi (quattordici, e quattro fidei donum), celebrano le messe in diverse lingue. La lingua non rappresenta un ostacolo, ma un ponte per annunciare la Parola e andare incontro all’altro. “Le messe si celebrano in inglese, turco, italiano, francese, coreano e spagnolo”. Mons. Piretto è testimone anche del dialogo islamo-cristiano. Non solo a livello accademico, ma anche nel quotidiano. E in questo una figura fondamentale, per lui, è quella di Maria.
Maria, ponte d’unione tra mondo islamico e cristiano. “Poco prima di venire in Italia – racconta – mi sono recato ad Efeso alla Casa di Maria. Oggi non ci sono quasi più pellegrini europei, ma ci sono tanti pellegrini coreani e anche dall’Argentina. Quando sono stato lì, alcuni giorni fa, nella casa c’erano a pregare fedeli musulmani. Maria è veramente un ponte di unione tra il mondo islamico e quello cristiano. Maria è per noi cristiani e per i fedeli musulmani modello della persona che prega”.
L’impegno della Caritas locale per i migranti. Una delle sfide che si trova oggi ad affrontare la Turchia è quella dei migranti. “Ci sono quattro milioni di migranti siriani, che sono ‘facilitati’, perché hanno un visto di passaggio – spiega – ma poi ci sono iracheni, afghani, iraniani che non possono stare nelle grandi città e che attendono di poter partire per un altro Paese. Come Caritas locale (la nostra è un piccola Caritas) cerchiamo di aiutarli, senza far pensare che questo nostro aiuto sia una forma di proselitismo”. Anche questa è carità del quotidiano. Anche questa è un’espressione dell’estremismo della carità, come lo chiama Papa Francesco.
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