Non contrattare con Dio
La tentazione “di considerare la religione come un investimento umano”.
Siamo ancora nella sinagoga di Nazareth, ma nella pagina di questa domenica Luca cambia la prospettiva del racconto. Domenica scorsa la scena era soprattutto centrata su Gesù, che ha proclamato la lettura tratta dal profeta Isaia, un chiaro riferimento all’anno giubilare descritto nel Levitico, e, chiuso il rotolo, lo abbiamo ascoltato pronunciare quell’oggi del compimento della scrittura. Eccoci ora ad osservare la reazione di coloro che hanno ascoltato la parola di questo ragazzo conosciuto da tutti nel paese; aveva da poco lasciato la sua casa per iniziare la sua vita pubblica ed era ritornato tra i suoi concittadini in un giorno di festa, il sabato, per incontrarli nel tempio. La parola di Gesù trova consensi, meraviglia. Poi, lentamente, arrivano le critiche: ma non è il figlio di Giuseppe, il falegname; e arriva anche l’irritazione di quanti lo hanno ascoltato e si sono sentiti coinvolti da quelle parole. La meraviglia si trasforma in stupore e i concittadini, dice Papa Francesco all’Angelus, “cominciano a fare la faccia storta, a mormorare tra loro e a dire: perché costui, che pretende di essere il Consacrato del Signore, non ripete qui, nel suo paese, i prodigi che si dice abbia compiuto a Cafarnao e nei villaggi vicini?”
Che cosa mette in evidenza Luca nel suo Vangelo? Essenzialmente due diversi modi di ascoltare la parola: da un lato la meraviglia, lo stupore per le cose ascoltate; dall’altro il rifiuto di accettarle. Nessun profeta è bene accetto nella sua patria, afferma Gesù. Già perché di fronte alla parola annunciata, i suoi concittadini chiedono invece che egli realizzi anche per loro ciò che aveva fatto altrove, a Cafarnao: ovunque fa miracoli e qui tra i suoi amici, nel villaggio della sua infanzia non compie prodigi, non soddisfa i bisogni dei suoi concittadini? Ecco allora il rifiuto: i presenti si alzano, lo cacciano dal tempio e lo portano fino ai margini del villaggio, “fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per buttarlo giù” leggiamo nel terzo Vangelo. Non si accontentano della parola ascoltata ma pretendono dei segni che risolvano i loro problemi. “Non è semplicemente il racconto di una lite tra compaesani, come a volte avviene anche nei nostri quartieri, suscitata da invidie e da gelosie”, dice Francesco all’Angelus, ma “mette in luce una tentazione alla quale l’uomo religioso è sempre esposto” e dalla quale bisogna prendere “decisamente le distanze”: la tentazione “di considerare la religione come un investimento umano e, di conseguenza, mettersi a contrattare con Dio cercando il proprio interesse”.
Luca utilizza due termini per meglio identificare la diversa prospettiva del racconto: medico – “medico cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria” – e profeta – “nessun profeta è bene accetto nella sua patria”. La parola medico esprime di più il modo con cui i concittadini vedono Gesù, cioè l’uomo che guarisce. Il profeta è colui che compie prodigi e segni ma questi rimandano a una parola che interpella e chiede di essere accolta e vissuta. Si tratta, ricorda Francesco, di “accogliere la rivelazione di un Dio che è Padre e che ha cura di ogni sua creatura, anche di quella più piccola e insignificante agli occhi degli uomini. Proprio in questo consiste il ministero profetico di Gesù: nell’annunciare che nessuna condizione umana può costituire motivo di esclusione” e che “l’unico privilegio agli occhi di Dio è quello di non avere privilegi, di non avere padrini, di essere abbandonati nelle sue mani”.
Di fronte all’incredulità dei suoi concittadini, che lo cacciano dal tempio e vogliono ucciderlo, Gesù compie un gesto che segna una prospettiva: passa in mezzo alle persone, probabilmente guardando i loro occhi, e si mette in cammino, scrive Luca. Importante questo verbo camminare: Francesco lo ha posto quasi a tema del suo pontificato fin dal primo giorno, incontrando i cardinali elettori nella Cappella Sistina. Il camminare di Gesù inizia lì a Nazareth, un passare in mezzo alle generazioni di uomini e donne, per le quali è concittadino e straniero, per terminare a Gerusalemme, nei giorni della sua Pasqua.
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