Papa Francesco alla Curia Romana: siate “fedeli antenne sensibili, emittenti e riceventi”
Dedicato alla Curia "ad extra" il quinto discorso del Papa alla Curia Romana per gli auguri natalizi. "Fedeli antenne sensibili: emittenti e riceventi", l'identikit all'insegna del "primato diaconale". Il rapporto della Curia con le nazioni, con le Chiese particolari, con le Chiese orientali, con il dialogo ecumenico, con l’ebraismo, con l’Islam e le altre religioni.
“Fedeli antenne sensibili: emittenti e riceventi”, per “operare nel nome e con l’autorità del Sommo Pontefice e sempre per il bene e al servizio delle Chiese”. È l’identikit tracciato dal Papa dei dicasteri della Curia Romana e delle persone che vi lavorano, nel quinto discorso rivolto ai suoi più stretti collaboratori per gli auguri natalizi. Dopo la professionalità e il servizio, doti raccomandate nel suo primo discorso dopo l’elezione al soglio di Pietro (2013), le 15 malattie curiali (2014), gli “antibiotici” relativi sotto forma di virtù necessarie (2015) e il quadro d’insieme sulla riforma (2016), Francesco ha abbandonato per la prima volta la dimensione “ad intra” della Curia per soffermarsi sulla Curia “ad extra”, esaminandone alcuni aspetti: il rapporto della Curia con le nazioni, con le Chiese particolari, con le Chiese orientali, con il dialogo ecumenico, con l’ebraismo, con l’Islam e le altre religioni. “Fare le riforme a Roma è come pulire la Sfinge d’Egitto con uno spazzolino da denti”. Il Papa comincia con un’espressione “simpatica e significativa” di mons. Frédéric-François-Xavier De Mérode, per evidenziare “quanta pazienza, dedizione e delicatezza” occorrano per raggiungere tale obiettivo.
(Foto: Vatican Media)
“Una Curia chiusa in sé stessa tradirebbe l’obiettivo della sua esistenza e cadrebbe nell’autoreferenzialità, condannandosi all’autodistruzione”, il monito sull’intrinseca dimensione “ad extra”: Dio ha costituito la Chiesa per essere nel mondo, ma non del mondo, e per essere strumento di salvezza e di servizio. Per illustrare tale finalità, Francesco utilizza un’espressione – “primato diaconale” – che rimanda all’immagine di San Gregorio Magno nel “Servus Servorum Dei”. È la ferma volontà di imitare Cristo, centrale nella tradizione delle Chiese orientali e adoperata da Benedetto XVI, che quando ne parlò disse che sulle labbra di Gregorio questa frase non era una pia formula, ma la vera manifestazione del modo di vivere e di agire di Gesù, della sua umiltà di servo che ci ha lavato e ci lava i piedi sporchi. Il primato diaconale, per il Papa, deve valere anche per coloro che, a pieno titolo, lavorano nella Curia Romana, per il bene e al servizio delle Chiese. Il diacono è il custode del servizio nella Chiesa: è l’orecchio, la bocca e gli occhi del vescovo, che lo aiuta a prendere le decisioni e a dirigere per il bene di tutto il corpo. Sono i nostri sensi che ci aiutano all’estroversione, all’attenzione a quello che c’è fuori, come diceva Sant’Ignazio di Loyola: nella Curia “ad extra” non ci può essere spazio per la “squilibrata e degenere logica dei complotti o delle piccole cerchie”, “un cancro che porta all’autoreferenzialità” e che si infiltra anche negli organismi ecclesiastici. L’altro pericolo stigmatizzato è quello dei “traditori di fiducia o degli approfittatori della maternità della Chiesa”, che non possono però far dimenticare “la stragrande parte di persone fedeli che vi lavorano con lodevole impegno, fedeltà, competenza, dedizione e anche tanta santità”. Antenne emittenti, a servizio e in sintonia con il successore di Pietro, e riceventi, cioè capaci di “cogliere le istanze, le domande, le richieste, le grida, le gioie e le lacrime delle Chiese e del mondo”. Sta in questa doppia identità la natura della Curia “ad extra”, fatta di ascolto e sinodalità per realizzare la “salus animarum” attraverso “il discernimento dei segni dei tempi, la comunione nel servizio, la carità nella verità, la docilità allo Spirito e l’obbedienza fiduciosa ai superiori”. Il primo ambito della Curia ad extra citato dal Papa è il rapporto con le nazioni, nel quale gioca un ruolo fondamentale la diplomazia vaticana per costruire ponti di pace e di dialogo.
(Foto: Vatican Media)
“L’unico interesse della diplomazia vaticana è quello di essere libera da qualsiasi interesse mondano o materiale”, precisa Francesco, che menziona la terza Sezione della Segreteria di Stato, costituita di recente per occuparsi delle questioni attinenti alle persone che lavorano nel servizio diplomatico della Santa Sede o che vi si preparano, in stretta collaborazione con la Sezione per gli Affari Generali e con la Sezione per i Rapporti con gli Stati. Il rapporto che lega la Curia alle diocesi e alle eparchie è di primaria importanza, sottolinea il Papa precisando che tale rapporto “si basa sulla collaborazione, sulla fiducia e mai sulla superiorità o sull’avversità”. Fondamentale anche il rapporto tra la Curia e le Chiese orientali, all’insegna del reciproco arricchimento spirituale e liturgico e del desiderio di rafforzare sempre di più l’unità.
“L’ecumenismo è un cammino irreversibile e non in retromarcia”, ammonisce Francesco, che a proposito del rapporto della Curia Romana con l’ebraismo, l’Islam e le altre religioni raccomanda la necessità del dialogo fondato su tre pilastri: “Il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni”. “Il Natale ci ricorda che una fede che non ci mette in crisi è una fede in crisi; una fede che non ci fa crescere è una fede che deve crescere; una fede che non ci interroga è una fede sulla quale dobbiamo interrogarci; una fede che non ci anima è una fede che deve essere animata; una fede che non ci sconvolge è una fede che deve essere sconvolta”. Sono gli auguri di Natale del Papa, che cita Angelo Silesio per auspicare che il nostro cuore diventi una mangiatoia da dove Gesù possa rinascere di nuovo. Prima di congedarsi, Francesco regala ai presenti due libri: “Je veux voir Dieu” (“Voglio vedere Dio”), del beato Maria Eugenio di Gesù Bambino, e “La festa del perdono”, messo a disposizione dal card. Mauro Piacenza, che lo ha realizzato insieme alla Penitenzieria apostolica come risultato del Giubileo della misericordia.
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