Sulla strada del discernimento
L'intervista all'assistente nazionale per la formazione dei capi AGESCI don Paolo Gherri sul cammino proposto dall'associazione
Comunità capi in cammino. È questa la modalità scelta dai capi scout AGESCI per discutere e prepararsi alle nuove sfide da affrontare. Sfide che, però, hanno bisogno di una attenta e puntuale analisi personale e comunitaria, alla luce di un percorso di discernimento che la stessa associazione ha predisposto e proposto per affrontare al meglio questo cammino. Per aiutarci a capire meglio di cosa si tratta abbiamo chiesto aiuto a Don Paolo Gherri, Assistente Ecclesiastico Nazionale per la Formazione Capi dell'AGESCI e professore ordinario presso l'Institutum Utriusque Iuris della Pont. Univ. Lateranense.
Iniziamo cercando di inquadrare la questione. Cosa si intende per discernimento?
Di per sé i significati del termine possono essere molti: quello proposto e usato da Papa Francesco è quello della grande tradizione gesuitica; quello che il documento AGESCI propone, come sua possibile lettura e, più ancora, come “pratica” concreta vorrebbe indicare un confronto leale e intimo con quanto “sta” di fronte a ciascuno di noi: dal Vangelo come tale, al Patto Associativo per i Capi scout dell’Associazione. Io ho trovato interessante, in questa prospettiva, presentare il discernimento come l’accordatura di una chitarra: occorre mettersi in ascolto con attenzione per cogliere il “La” con cui accordare le “corde” del proprio cuore, cosicché la propria vita possa risultare un bell’accordo, armonioso, equilibrato e invitante.
Che differenza c’è tra discernimento personale e discernimento pastorale?
Il discernimento, di per sé, è attività assolutamente “personale”, sebbene non “individuale”, poiché non si fa da soli, pur mettendo in gioco unicamente se stessi. Il discernimento personale indica la “realtà”, l’esperienza da vivere; il discernimento pastorale indica, invece, la “modalità” in cui svolgerlo: sotto la guida di qualcuno (normalmente un prete, specie se ci sono di mezzo questioni legate ai Sacramenti) che accompagna, sostiene, eventualmente oppone resistenza e critica e offre alternative di lettura e analisi, sempre a partire dal Vangelo. Il discernimento non è “riflessione” tra sé e sé; non è “esame di coscienza”, ma un’esperienza di condivisione della propria interiorità con qualcuno che sappiamo essere più avanti di noi nella vita spirituale e, soprattutto, nella conoscenza di Dio.
Perché è così importante per il cammino cristiano? In che momento della vita è opportuno farlo? Come ci si deve accostare?
Proprio perché quello cristiano sia davvero un “cammino”; proprio perché il Cristianesimo non sia una dottrina più o meno conosciuta e ripetuta, ma una “vita vissuta” non in modi qualunque, ma come discepoli di Gesù Cristo. Per questo: non c’è “un tempo” della vita in cui fare discernimento, ma deve esserci sempre nella vita “il tempo” per fare discernimento. In realtà, non è nulla di troppo diverso da ciò che in molti vivono, pur senza saperlo e chiamarlo così, attraverso una buona pratica della Confessione e direzione spirituale. Di fatto che cosa si fa nella direzione spirituale, se non “discernere” sensazioni, emozioni, tensioni e timori, ponendo tutto alla luce di Gesù Cristo?
Passiamo ora a esaminare il documento preparato dall’AGESCI dove viene presentato come un cammino di libertà. Come dobbiamo intendere questa parola?
Nel modo più proprio possibile: il discernimento è un’attività “da” e “per” persone davvero libere, prima di tutto da se stesse. Trovo interessante che il documento non si presenti come un “cammino di liberazione”, ma di libertà vera e propria: un vero esercizio di libertà. Non è uno strumento “pedagogico” per i ragazzi e i giovani da guidare “verso la libertà”, ma la proposta di uno stile di “adultità” adatto – e necessario – per degli adulti che vogliano accompagnare altri a diventare tali. L’adulto è colui che sperimenta (nel senso che realizza, non che fa esperimenti) la libertà delle scelte già fatte; che vive la libertà delle cose che ha “selezionato” perché valevano la pena, perché erano le migliori “per” (= a vantaggio, non “secondo”) lui.
Nel cammino proposto si affrontano, illuminati dall’esortazione apostolica Amoris Laetitia, quelle che possono essere le fragilità umane e personali di ogni cristiano. Su quali si pone maggiormente l’accento? Come vengono affrontate?
Nel documento, non si cerca di imporre dall’alto una “forma” uguale per tutti, ma si indica una strada sicura per poter fare ordine nella propria vita, commisurandosi con il vero “modello” (che non è uno “stampo”) che è Gesù Cristo. Il documento non parla di “situazioni problematiche”, ma di uscita da se stessi e dai propri “secondo me”, per guadagnare autenticità alla luce del Vangelo. Discernere, infatti, non consiste nel “mettere ai voti” la vita di qualcuno, ma nel diventare più autentici dinanzi ai “punti di riferimento” della propria esistenza. Il documento rimanda espressamente al Patto Associativo e, indirettamente, ai “fondamenti” delle sue tre “scelte”: l’insegnamento della Chiesa (scelta cristiana), la Costituzione italiana (scelta politica), la pedagogia scout (scelta scout).
In aggiunta al documento, è stato predisposto un percorso di catechesi: “La vita di Paolo, un percorso di discernimento”, tratto da un corso di esercizi spirituali del cardinale Carlo Maria Martini. Come dovrebbe essere usato? È un percorso che può essere utilizzato da chiunque o è necessario usare alcune “accortezze”?
Quel testo è stato scelto come concreto “modello” di discernimento evangelico: la vita di Paolo di Tarso come una monumentale esperienza di discernimento. Si tratta di un percorso che viene “affiancato” al documento per far capire che cosa significa “discernere” in modo evangelico. Non ritengo importanti i “modi” di usarlo, ma il “farlo”, soprattutto per rendersi conto che il discernimento non serve a “risolvere problemi”, ma a crescere verso il più vero, il più autentico, il più discepolo di Gesù Cristo. Diversamente, si resta impigliati in una quantità di cose soltanto “di questo mondo”, molte delle quali san Paolo ha definito come “spazzatura” in confronto alla “conoscenza di Gesù” e alla comunione, anche eterna, con Lui.
Cosa ci si può e ci si deve aspettare da questo percorso di discernimento a livello personale e comunitario? Quanto ne usciranno arricchite le comunità capi AGESCI?
La differenza tra attese e pretese è sempre molto labile. Certamente, l’Associazione non “pretende” risultati puntuali e specifici, come se si trattasse del “budget” dell’anno scout in corso. Si tratta, in realtà, di sollecitare le Comunità Capi a prendere ancora sul serio il “centro” della loro identità: il Patto Associativo con le sue tre “scelte”: quella cristiana da cui tutto parte e a cui ci si indirizza: quella politica che realizza a modo suo quell’ecologia umana di cui Benedetto XVI e Francesco hanno parlato; quella scout che non si accontenta di “stare” coi ragazzi, ma sa che cosa proporre loro quali veri strumenti di crescita personale. Ciò che ogni Comunità Capi ne trarrà dipenderà soltanto da quanto essa stessa sarà stata in grado di mettersi in gioco, di tendere l’orecchio in mezzo a tanta confusione per accordare bene le proprie chitarre e “cambiare finalmente musica”.
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