Un pellegrinaggio di accoglienza senza barriere
Accolti nelle parrocchie, nelle comunità, si sono integrati e con i giovani italiani. A Roma c'erano anche loro, segno di una Chiesa che, magari senza clamore, accoglie e fa sentire tutti a casa.
La figura del profeta Elia, “ci ricorda che siamo sempre chiamati al dovere dell’accoglienza, in qualunque condizione ci troviamo: anche chi è rimasto con poca farina o con poco olio, come la vedova che aiuta Elia, può fare qualcosa perché la Provvidenza agisce miracolosamente, ma si serve delle nostre mani”, e soprattutto del “nostro cuore”. Il cardinale Bassetti ha ripetuto più volte la parola “cuore”, rivolgendosi ai giovani in piazza San Pietro. Il dovere dell’accoglienza è già realtà nella sensibilità delle nuove generazioni, e il porporato lo sa. “Nemmeno voi chiudete gli occhi davanti alle tante emergenze che sta attraversando il nostro Paese, anche se probabilmente vi sentite oppressi e schiacciati da problemi che riguardano già il quartiere in cui vivete e la città dove abitate”, ha detto il cardinale. “Anche Elia veniva da un lungo cammino, in fuga da una regina iniqua che lo perseguitava da anni. La sua fuga ci fa pensare anche ai tanti giovani che vivono oggi sulla loro pelle la stessa condizione del profeta e che devono rifugiarsi o migrare in altri Paesi a causa di guerre o dittature o carestie. Alcuni di loro, e questo è un fatto commovente, hanno camminato accanto a voi, e questa credo che per tutti sia stata un’esperienza bellissima”. Ed è vero, perché erano tanti i giovani di origine africana che hanno raggiunto Roma. Li abbiamo visti al Circo Massimo, così come a piazza San Pietro. Abituati al cammino, al sacrificio. Per mille strade. Erano insieme agli altri, agli "italiani", condividevano lo stesso metro quadro di “riposo”, così come il pasto, il caldo, l’attesa e la gioia. Un panino diviso. Li abbiamo osservati mentre ascoltavano, applaudivano il Papa. Mentre si avvicinavano alle transenne pur di vederlo anche solo un istante. Erano con gli amici delle parrocchie dell’Italia intera che, magari senza clamore, ma con il silenzio e l’operosità, fanno una straordinaria opera di accoglienza e integrazione. I giovani migranti costretti dalle diverse necessità a raggiungere il nostro Paese si imbattono in sacerdoti, catechisti, animatori di comunità, educatori che li fanno sentire davvero a casa, in famiglia. Non è retorica, è dato di fatto. È un processo irreversibile, e arricchisce le realtà parrocchiali. Perché ogni persona è una gran bella risorsa, anzi una manifestazione dell’amore multiforme di Dio, che non ha pareti, né confini, ma che in una distesa grande, più grande del Circo Massimo, fa sentire tutti fratelli. Fratelli che si danno la mano. Padre nostro…
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