Bernardino e la sua “diletta” Città
Da Cosenza il genio di Telesio, dono per la filosofia
Da Cosenza prese il volo il genio speculativo di Bernardino Telesio (1509-1588), considerato da Bacone come «uno degli uomini nuovi», perché diede importanza ai metodi empirici e fu uno dei padri del movimento scientifico del Rinascimento. Telesio studiò filosofia e matematica a Padova e scienze naturali a Roma. Si dice che Bernardino Telesio, filosofo cosentino ed europeo, è molto citato e poco conosciuto. È una falsità. Bernardino Telesio non solo fu apprezzato nell’ambito dell’Accademia Cosentina, fondata da Giano Aulo Parrasio (che poi si chiamò Accademia Telesiana per l’importanza data ai metodi empirici), nella quale Paolo d’Aquino recitò una Oratione in morte di Berardino Telesio, e Sertorio Quattromani scrisse La Philosophia di Berardino Telesio ristretta in brevità, ma è letto, conosciuto e molto amato non solo a Cosenza verso la quale egli manifestò il proprio trasporto d’amore: «La mia diletta città potrebbe benissimo fare a meno di me, ma sono io che non posso fare a meno di Lei che mi scorre nelle vene e amo». Il filosofo Telesio pur essendo abbastanza conosciuto, in generale è male interpretato e, quel che è peggio, è ideologicamente strumentalizzato. Si tenta, infatti, di far passare Telesio, che fu avversario di Aristotele e figlio ribelle dell’università di Padova, come sostenitore del materialismo. C’è chi preferisce alla sua figura quella di Giordano Bruno, dimenticando però che l’ammissione telesiana di Dio creatore della natura e dell’anima «superaddita» non contrasta con la Rivelazione e con le verità scientificamente accertate.
Telesio ebbe la protezione di papa Paolo IV, di Gregorio XIII, che sostenne anche il Carcano e invitò Telesio ad esporre la sua dottrina filosofica a Roma, di Pio IV, zio materno di Carlo Borromeo, che voleva elevare Telesio, per la sua sapienza, ad arcivescovo di Cosenza. Telesio rifiutò ma la dignità arcivescovile di Cosenza rimase in famiglia, perché fu accettata dal fratello Tommaso Telesio (1565-1569).
Nella lettera al cardinale Flavio Orsini, egli chiedeva protezione dai «lupi sanguinari», vale a dire dagli uomini astuti e malvagi: «La supplico che se ho errato, mi sarà somma grazia vedere e correggere gli errori miei, perché la mente mia, per grazia di nostro Signore Dio, sarà sempre soggettissima et inchinatissima alla vera e cattolica religione e sarei prontissimo a bruciare tutte le mie opere quando mi fosse mostrato che non siano piene di pietà cristiana». Per tagliar corto, Bernardino Telesio prima d’essere un filosofo naturalista fu un fervente credente.
Nel Prologo dell’opera, De natura iuxta propria principia, Bernardino Telesio dichiarò fermamente: «Se qualcosa di ciò che abbiamo sostenuto, non dovesse concordare con le Sacre Scritture o con le verità della Chiesa Cattolica non deve essere mantenuto, anzi deve essere totalmente rifiutato». Non si tratta, però, d’una voltagabbana «disponibilità alla ritrattazione», come viene erroneamente postulato, ma di piena e autentica professione di fede.
Telesio ritornò alla tradizione filosofica della «doppia natura» dell’uomo perché ebbe timore (questo sì) di passare per materialista o per tardo epigono degli atomisti e di Tito Lucrezio Caro. Continuare a sostenere, senza prove reali, che per paura dell’Inquisizione Telesio ammise Dio creatore dell’anima superiore, che aspira alla propria conservazione in eterno, significa calpestare il pensiero genuino e l’onestà del lavoro filosofico e scientifico telesiano.
Bernardino Telesio si mosse in un clima di libertà per elaborare la sua concezione della natura di carattere antiaristotelico e studiare la natura secondo i suoi principi o le sue leggi, che attraverso la sensibilità si rendono palesi all’uomo, poiché egli stesso è natura.
La libertas philosophandi di Telesio, alla quale dette viva importanza Tommaso Campanella, rappresenta l’affermazione telesiana dell’autonomia e regolarità della natura e, quindi, l’inizio di una rivoluzione scientifica.
Mentre riscuoteva successo «il naturalismo magico» in cui la speculazione fantastica e il riferimento all’esperienza s’intrecciavano strettamente, Telesio fondò la sua fisica-metafisica sui principi attivi del calore e del freddo e sul substrato passivo della terra.
Caldo, freddo e massa «si rigenerano una volta posti in essere, ma né si creano da sé, né sono eterni». Dio è al di là della Natura, la trascende. È Dio che crea l’anima, che non va confusa con lo spirito «e semine eductus». L’anima, creata e infusa da Dio, permette all’uomo di pensare e di volere il soprasensibile e l’eterno.
Ma donde vengono questi principi? I principi sono creati da Dio, vale a dire sono posti in essere dal nulla. La legge di natura, che per Aristotele è in sé eterna, per il «naturalismo» di Telesio richiede un Dio creatore.
Telesio meritò anche il titolo di poeta: scrisse il carme Ad Johannam Castriotam in 43 esametri che, a giudizio di Sertorio Quattromani, «sono tali che sarebbero ammirati da Virgilio e da altri antichi se essi fossero in vita».
Tommaso Campanella, che non rimase estraneo alla lezione filosofica del naturalismo telesiano, scrisse: «Mentre mi trovavo colà (a Cosenza), il sommo Telesio morì, non mi fu possibile ascoltare da lui le sue dottrine né di vederlo vivo ma solo da morto, quando era stato portato in chiesa; e lì, scoprendo il suo volto, potei ammirarlo ed al suo tumulo affissi parecchi versi che di lui cantavano».
Giovan Battista Pacichelli visitò la cattedrale di Cosenza, nel 1639, e vide dietro l’organo, da un lato l’urna reale di Luigi III d’Angiò e dall’altro lato la lapide dedicata ad Antonio Telesio e a Bernardino Telesio, che riposavano nella loro cappella del Crocifisso «negro di pietra ben’antico». Le due urne restano ancora illacrimate e celate agli sguardi dei cittadini di Cosenza e dei visitatori.
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