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Magia e nostalgia ne "Il pianto del monachello"

L'autore, il 2017, è arrivato terzo al premio nazionale Città di Siderno

Magia e nostalgia ne "Il pianto del monachello"

Nella cornice di un mare che ritempra il corpo e alleggerisce i pensieri, in un crocevia di esistenze, di profumi e olezzi, di anime stantie nel vortice della realtà, nello scenario sospeso tra i miti e una realtà che risucchia voracemente si gioca il destino di Portomagno e dei suoi abitanti. La storia del monachello e del suo cappuccio magico che avrebbe reso fortuna a chi fosse riuscito a toglierlo fa da fil rouge ad un corollario di anime fragili consumate da miseria, fame e una vita di stenti. In un paese meridionale, sotto l’egemonia del fascismo e di un sistema scolastico rigido che infligge pene corporali ai disobbedienti, a scuotere il girone dell’inferno in cui tutto è scandito da lentezza e ripetizione ciclica è l’ufficiale dello Stato Civile don Cola, considerato da tutti il paccio del paese.

Don Cola, il fato benevolo del paese, “l’impiegato armato di penna per modellare l’animo dei concittadini” si investe di un potere oscuro e magico per poter ridisegnare l’esistenza dei compaesani: facendo seguire il nome del bambino da una virgola e dal nome di uomini e donne che hanno fatto la storia, don Cola innesca il meccanismo di una porta girevole verso l’altro mondo in cui il nome aggiunto si investe di una funzione salvifica per sovvertire l’ordine e la staticità di ciò che è eternamente sempre uguale. Marcello, occhi curiosi e animo indagatore, è l’unica anima candida a conoscere il segreto di don Cola e a subire la fascinazione della faràgula del monachello. Una pausa lunga 15 anni rompe la quotidianità fatta di giochi di ragazzi e di chiacchiere di paese per far posto al nuovo, al cambiamento che si insinua come una ventata d’aria fresca in una giornata stordita dalla calura estiva.

In una realtà che mescola aristocrazia e miseria si inserisce il finale insolito di una trama ben ordita in cui il dialetto non sovrasta ma fa da amalgama ai luoghi e alle persone rendendole più vere e genuine. Cangiante e nostalgico, in un’atmosfera in cui realtà e fantasia si mescolano, Alessandro Stella ci consegna un romanzo di formazione ricco di suggestioni. Fortuna che c'è don Cola a donare una fiammella di speranza in un'epoca, quella del fascismo, in cui c'è davvero poco da sperare. Duecentocinquantuno pagine per una storia che alterna, con sapienza, l'amicizia, i ricordi, la fascinazione dei racconti. E una riflessione si accende: si dovrebbe forse staccare gli occhi e il cuore, seppur solo per un breve momento, da quegli smartphone che tanto ci allontanano dagli altri per fare un salto nel passato e riscoprire il senso dello stare insieme. Nelle sere d'estate sotto le stelle, cullati dal fruscio delle onde del mare, ritrovarsi intorno ad un falò scoppiettante per ascoltare e tramandare quelle storie che ancora i nostri nonni raccontano, e far rivivere, tra fascino e speranza, il monachello. Buona la prima per il romanzo del calabrese Alessandro Stella che, nell'anno di pubblicazione del testo, il 2017, arriva terzo al premio nazionale Città di Siderno.

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