L'Omelia di Monsignor Salvatore Nunnari per la Messa Crismale del Giovedì Santo
Mons. Nunnari ai preti: "il giovedi santo è sempre occasione di chiederci di nuovo: 'a che cosa abbiamo detto sì?' "
Carissimi Confratelli, Presbiteri, Diaconi, Religiose e Religiosi, amati miei Seminaristi, Cari fedeli laici, salute e ogni vero bene nel Signore.
Ho ancora la gioia di celebrare con voi questo giovedì santo e come ogni anno la messa del Crisma esorta noi preti a rientrare in quel “si” alla chiamata di Dio, che abbiamo pronunciato nel giorno della nostra ordinazione sacerdotale.
Adsum – Eccomi, abbiamo detto come Isaia, quando senti la voce di Dio che, domandava: “Chi manderò e chi andrà per me?” “Eccomi manda me!” rispose Isaia (Is, 6,8).
Poi il Signore stesso, mediante le mani del Vescovo, ci impose le mani e noi ci siamo donati alla vera missione. Successivamente abbiamo percorso parecchie vie nell’ambito della sua chiamata.
Possiamo noi sempre affermare ciò che Paolo, dopo anni di servizio al Vangelo spesso faticoso e segnato da sofferenza di ogni genere scrisse ai Coniugi: “Il nostro zelo non viene meno in quel ministero, che per la misericordia di Dio, cioè stato affidato?” (2 Cor 4,1).
Il nostro zelo non viene meno.
Preghiamo in questo giorno, affinchè esso venga sempre riacceso, affinchè venga sempre nutrito della fiamma viva del Vangelo.
Allo stesso tempo, il Giovedì Santo è per noi occasione per chiederci sempre di nuovo: “A che cosa abbiamo detto”si”? Che cosa è questo “essere sacerdote di Gesù Cristo?”
Il canone del nostro messale che probabilmente fu redatto giù alla fine del II secolo a Roma, descrive l’essenza del ministero sacerdotale con le parole con cui, nel libro del Deuteronomio (18, 5-7) veniva descritta l’essenza del sacerdozio vetero testamentario: stare coram te e libri ministrare.
Lo stare davanti a Dio.
Sono quindi due i compiti che definiscono l’essenza del ministero sacerdotale: in primo luogo lo stare davanti al Signore.
Nel libro del Deuteronomio è chiaramente detto che i sacerdoti non ricevono alcuna porzione di terreno essi vivevano di Dio e per Dio. Non attendevano i soliti lavori necessari per il sostentamento della vita quotidiana. La loro professione era “Stare davanti al Signore, guardare a Lui, esserci per Lui.”
Cari confratelli se questa parola ora si ritrova nel canone della messa immediatamente, dopo l’entrata del Signore nell’assemblea in preghiera, ciò indica per noi lo stare davanti al Signore presente, indica cioè l’Eucarestia come centro della vita sacerdotale.
Ma c’è di più, nell’inno domenicale dell’ufficio delle letture della quaresima uno dei compiti di questo tempo è descritto con l’imperativo: arctin, perstemus, in custodia, stiamo in guardia in modo più intenso. I monaci venivano definiti come coloro che stanno in guardia.
Il prete deve stare in guardia di fronte alla potenza incalzante del male. Deve tener sveglio il mondo per Dio. Deve essere uno che sta in piedi, diritto di fronte alle correnti del tempio. Diritto nella verità, diritto nell’impegno per il bene.
Lo stare davanti al Signore dev’essere sempre, nel più profondo, anche un farsi carico degli uomini presso il Signore che, a sua volta, si fa carico di tutti noi presso il Padre.
E deve farsi carico di Lui, di Cristo, della Sua Parola, della Sua verità, del suo amore.
Retto dev’essere il sacerdote, impavido e disposto ad incassare per il Signore anche oltraggi, come riferiscono gli Atti degli Apostoli, essi erano lieti di essere stati oltraggiati per amore nel nome di Gesù.
Il servire.
A tutto ciò si aggiunge, scandita l'espressione del Canone II il Servire. Ciò che il Sacerdote fu in quel emendamento, nella celebrazione dell'Eucarestia, è servire, compiere un servizio. Dio è un servizio agli uomini. Il culto che Cristo ha reso al Padre è stato il donarsi sino alla fine degli uomini.
In questo culto, in questo servizio il sacerdote deve inserirsi. Così la parola servire comporta molte dimensioni. La comunione da una retta celebrazione della liturgia e dei sacramenti in genere, compiuta con la partecipazione interiore.
Cari fratelli miei, dobbiamo imparare a comprendere sempre di più la sacra liturgia in tutta la sua essenza,
sviluppare una viva familiarità con essa, cosichè diventi l'anima della nostra vita quotidiana.
E' allora che celebriamo in modo giusto, allora emerge da sè l'ars celebrandi, l'arte del celebrare. In quest'arte non ci dev'essere niente di arte fatto. Deve diventare una cosa sola con l'arte del vivere quotidiano.
Se la liturgia è un compito centrale del sacerdote, ciò significa anche che la preghiera dev'essere una realtà da imparare sempre di nuovo e sempre di più alla scuola di Cristo e dei Santi di tutti i tempi.
Poichè la liturgia per una natura , è sempre anche annuncio, dobbiamo essere persone che con la Parola di Dio hanno familiarità, la amano e la vivono.
Servire il Signore - il servizio sacerdotale significa proprio anche imparare a conoscere il Signore nella Sua Parola è farlo conoscere a tutti coloro che Egli ci affida.
Non dimentichiamoci infine che nessuno è vicino al suo Signore come il servo che ha accesso alla dimensione privata della sua vita. In questo senso "servire" significa vicinanza, richiede familiarità. Questa familiarità comporta anche un pericolo quello che il servo da noi continuamente incontrato divenga per noi abitudine;
Condizionati da tutte le abitudini, non percepiamo più il frutto grande, nuovo, sorprendente, che Egli sia presente, ci parli, si doni a noi.
Riconosciamo la nostra insufficienza e la grazia che vi è nel fatto che Egli si consegna così nelle nostre mani.
Nel consegnare gli olii da me benedetti nel centro di questa nostra liturgia il mio pensiero va a voi tutti, figli carissimi, che mediante l'unzione nel sacramento del Battesimo e della Confermazione siete stati introdotti nel ministero sacerdotale profetico e regalo per l'umanità. Siete popolo sacerdotale per il mondo; Vostra missione è rendere visibile al mondo il Dio vivente, testimoniarlo e condurre a Lui.
Quando parliamo di questo comune incarico, in questo siamo battezzati, ciò non è una ragione per farne un vanto. E' una domanda che insieme ci da gioia e ci inquieta: siamo veramente il santuario di Dio nel mondo. Apriamo agli uomini l'accesso a Dio o piuttosto lo nascondiamo. Abbiamo motivo di gridare in quest'ora a Dio; Non permettere che diventiamo un non popolo. Tu che ci hai creati con il tuo amore, che hai posto il tuo Spirito Santo su di noi, fa che la sua forza sia ancora efficace in noi, affinchè con gioia testimoniamo il tuo messaggio e costruiamo il tuo Regno nel nostro mondo in questo tempo di grazia.
+ Salvatore Nunnari
Arcivescovo Metropolita di Cosenza-Bisignano
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