Un miracolo alla nostra portata
Il candidato al premio Nobel per la Pace pace Mussie Zarai racconta il suo impegno
All’interno della Festa delle Migrazioni organizzata dall'Ufficio Migrantes diocesano l’incontro con “l’angelo dei profughi”
Padre Mussie Zarai, meglio conosciuto come padre Mosè, soprannominato ‘’l’angelo dei profughi’’ e candidato al Nobel per la Pace nel 2015, è stato ospite della tavola rotonda, svoltasi domenica scorsa, nel salone adiacente alla chiesa di Cristo Salvatore a Mendicino, dal titolo “Per una chiesa delle genti: Tra accoglienza e interculturalità”, inserita nel cartellone della Festa delle Migrazioni, organizzata dall’Ufficio Migrantes diocesano. A margine dell’incontro, al quale hanno preso parte Pino Fabiano (direttore dell’Ufficio Migrantes), Maurizio Alfano e Marina Galati, gli abbiamo rivolto qualche domanda, per meglio inquadrare uno dei temi più importanti di questi ultimi due decenni.
Più volte lei, in maniera provocatoria, ha sottolineato come, per invertire la tendenza che vede un’Africa sempre più povera e costretta a scappare e gli altri paesi con la difficoltà di dare asilo, sarebbe necessario un miracolo. Davvero solo un miracolo potrà cambiare la testa e il cuore degli uomini?
Questo miracolo potrà essere realizzato solo partendo dal basso, con una formazione sistematica che coinvolge tutti i cittadini e, soprattutto, le nuove generazioni che devono essere educate al rispetto della persona, della dignità e dei diritti. Dobbiamo mettere al centro dell’agenda politica la persona e non il profitto. I cittadini devono “costringere” i governanti a muoversi in questa direzione.
Sembra abbastanza “semplice” come ricetta, ma, molto spesso, si ha la percezione che l’Africa non voglia risollevarsi dai tanti problemi che l’affliggono.
Infatti l’Africa non potrà sollevarsi fino a quando resterà questa idea di sostegno passivo. L’Africa deve essere aiutata a sfruttare le sue enormi risorse e le sue tante capacità. Troppo spesso, però, sono prevalsi gli interessi delle lobby che incidono sulla carne viva delle persone, limitando, di fatto, le possibilità di sviluppo di un intero continente.
Da oltre venticinque anni tenta di dare soccorso e aiuto a quanti cercano di riscattare la propria vita sfidando viaggi lunghi e pericolosi, dove in molti perdono la vita. Sente che in questi anni qualcosa è cambiato?
Ci sono di sicuro una maggiore sensibilità e molta buona volontà in alcuni casi. Chi ha il potere e deve prendere le scelte fa davvero poco, però.
Oggi ricorre la giornata delle comunicazioni sociali. Che ruolo giocano i media nel raccontare questo fenomeno?
L’informazione dovrebbe e potrebbe incidere molto, ma mi chiedo: esiste un’informazione libera? Il problema è proprio questo. L’informazione è controllata da poteri forti che rendono difficile raccontare la vera realtà di questi paesi o le vere responsabilità di chi sta dietro a guerre e sfruttamento. L’Africa non è povera, ma è stata resa povera. Un’informazione libera dovrebbe porre l’accento su questo e rendere giustizia.
Spostiamo un attimo l’attenzione sul sistema d’accoglienza messo in piedi in Italia. Qual è, a suo parere, la direzione da seguire?
La strada è quella di puntare su un sistema di accoglienza diffusa, così come si sta cercando di fare, cercando di coinvolgere tutti i comuni dello stivale, tenendo presente, però, che è fondamentale la progettualità e non vivere su una continua emergenza, perchè c’è chi si arrichisce sfruttando questo sistema. Non si possono continuare a sfruttare persone che hanno bisogno di essere accolte e aiutate. Tanti, però, sono i modelli che funzionano e dai quali è opportuno ripartire.
Qual è, invece, il ruolo della Chiesa nell’accogliere e nel sensibilizzare le coscienze?
La Chiesa ha un ruolo molto importante, ma non può e non deve sostituirsi allo Stato. Può aiutarlo. Deve dare il suo contributo e dare la sua testimonianza evangelica, educando i fedeli all’apertura e all’accoglienza, perchè lo stato è composto da quegli stessi cittadini che frequentano le parrocchie e che sono chiamati a dare il loro contributo.
Spesso l’Africa è raccontata da chi la vede da lontano. Come, invece, dovremmo e potremmo raccontarla?
Ultimamente, nel continente africano, molti paesi stanno cercando di riconquistare autonomia e dignità come popoli e come nazioni.
C’è ancora un lungo percorso da fare che è pieno di ostacoli, perchè, troppo spesso, vengono toccati interessi di quanti non vogliano che l’Africa ce la faccia da sola.
Il nostro è un continente con molti giovani, con un’età media di quindici anni e, tra qualche anno, questi ragazzi, se non troveranno risposte lì, saranno ancora costretti alla fuga.
Chiudiamo allora con i suoi progetti per il futuro. Dov’è opportuno continuare a lavorare?
Puntare su quei tanti giovani che stanno scappando dai loro paesi, aiutandoli a restare in Africa, con borse di studio, trovando un lavoro e aiutandoli a realizzarsi professionalmente e umanamente.
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