Due ragazzi di fronte al dramma della vita
Due storie dal peso specifico diverso, trattandosi nel primo caso di una tragedia inenarrabile in seno alla realtà che più di tutte dovrebbe tutelare i suoi membri, e cioè la famiglia, e nel secondo caso di un gioioso evento sportivo, ma che viste insieme ci permettono non di meno di fare una riflessione su come noi possiamo vivere il disagio, su come decidiamo di rispondere a ciò che nella vita ci resiste, ci ostacola, ci fa soffrire
Perché soffro? Che senso ha questo dolore, che talvolta mi sorprende nella vita, e sembra sbarrarla, e mi chiama a prendere posizione dinanzi a esso?
Queste, e analoghe domande che sembrano oziose solo finché uno non si trova in prima persona nella sofferenza, accomunano le storie altrimenti molto diverse tra loro di due ragazzi che hanno dovuto confrontarsi con il disagio, storie accadute attorno al 1 settembre di quest’anno.
C’è quella di un diciassettenne che a Paderno Dugnano, nella notte tra il 31 agosto e il 1 settembre, ha massacrato a coltellate la famiglia, avendo accettato di soccombere al sordo disagio che lo abitava chissà da quanto tempo, senza che alcuna delle persone attorno avesse colto il minimo segnale.
Poi c’è la storia di un ragazzo di qualche anno più grande, Rigivan Ganeshamoorty, che, sebbene affetto dalla paralizzante sindrome di Guillain-Barré, aggravata peraltro da una lesione cervicale dovuta a una caduta, ha risposto alla crisi della sua vita con il sorriso e tanto impegno, giungendo all’oro nel lancio del disco alle Paralimpiadi proprio lo stesso 1 settembre.
Due storie dal peso specifico diverso, trattandosi nel primo caso di una tragedia inenarrabile in seno alla realtà che più di tutte dovrebbe tutelare i suoi membri, e cioè la famiglia, e nel secondo caso di un gioioso evento sportivo, ma che viste insieme ci permettono non di meno di fare una riflessione su come noi possiamo vivere il disagio, su come decidiamo di rispondere a ciò che nella vita ci resiste, ci ostacola, ci fa soffrire.
Sia chiaro: nel dire che queste vicende ci permettono di riflettere su come decidiamo di rispondere al male che ci assale non pretendiamo di sapere cosa da un punto di vista strettamente psicologico, specifico, abbia mosso il ragazzo di Paderno Dugnano al suo gesto. Vogliamo piuttosto prendere a esempio la sua storia per una considerazione più generale su come il male, sordo e muto come l’indemoniato evangelico, possa arrivare a impossessarsi di una vita, di una psiche, di una persona, spingendola alla tragedia. Sordo e muto perché asintomatico e nascosto, e perché rende incomunicabili i vissuti interni di chi ne viene catturato – e non è un caso che anche nel brano di Vangelo citato la vittima fosse un adolescente.
Sulla base di quello che la nostra fede ci offre come sguardo di profondità negli accadimenti spesso enigmatici del quotidiano, non possiamo non ricordarci che il male che ci rovina, che ci aliena separandoci da tutto e da tutti, per entrare e prendere man mano il controllo della nostra vita ha bisogno, come i vampiri dei racconti, di essere invitato per entrare.
Tutto inizia da un pensiero oscuro che bussa alla porta della nostra mente, e chiede di essere sposato come interpretazione del reale. Lo sperimentiamo tutti, tutti i giorni: la tentazione si presenta come il suggerimento interpretativo di un certo dato, per poi espandersi, e se noi accettiamo, e ne facciamo la lente attraverso cui leggere quanto ci accade, tutto sembrerà acquisire una sinistra coerenza peggiorativa, in cui saremo indotti, nel tempo, a vederci come le vittime di questa storia tinta di nero. E alle vittime tutto è consentito, perché i cattivi sono gli altri – e non serve aggiungere altro per capire dove tutto questo può portare.
Certo, innumerevoli fattori ambientali, forse anche fisiologici, possono spiegare la maggiore o minore predisposizione a simili risposte alla vita, ma il mistero del male rimane tale perché inerisce in ultima analisi non alla psiche o all’ambiente soltanto, ma allo spirito dell’uomo, a quell’imperscrutabile (perché sovrannaturale) dato della sua libertà e della sua unicità – tant’è che proprio in questa libertà si trova anche la possibilità dell’opposizione dell’uomo al male, della scelta di un modo diverso di guardare alla propria vita e ai suoi problemi, contestando il suggerimento della tristezza e della paura con la speranza e il dono di sé.
In questo senso vogliamo vedere nella storia di quell’altro ragazzo, Rigivan, un’alternativa piena di speranza: possiamo non arrenderci al male, ed è possibile fare dei nostri limiti il luogo della nostra crescita, e delle nostre croci il luogo della nostra resurrezione. Questo ragazzo che ha rifiutato di annegare nel suo limite ed è diventato un campione ci dà speranza per una gioventù spesso additata dalla cronaca come priva di prospettive e destinata al non senso e alla violenza, ma la speranza nasce in noi anche per l’altro ragazzo, l’anonimo e distrutto adolescente di Paderno Dugnano, che per prima cosa, giunto al carcere minorile, ha chiesto di potersi confessare: un grido di aiuto forse ancora inarticolato ma senz’altro bene indirizzato, rivolto all’Unico che potrà farsi carico di tanto dolore inferto e sofferto, e dargli un giorno, vogliamo crederlo, una vita nuova.
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