In ricordo di don Elio Bromuri
Morire in agosto, in punta di piedi, quasi con il desiderio di non disturbare
Morire in agosto è un po’ come uscire in punta di piedi con il desiderio di non disturbare.
È quasi scegliere un momento in cui gli impegni di tutti, anche degli amici, sono sospesi e tutti sono un po’ distratti.
È come un saluto da lontano prima di scomparire dietro una curva della strada. È un atto di tenerezza che viene compiuto per quell’eccesso di amore che trasforma la vita in un dono.
Così è stato, il 17 agosto, per don Elio Bromuri, direttore di “La Voce”, il settimanale cattolico regionale dell’Umbria.
Nell’incontro con lui qualche giorno prima della morte erano sorprendenti il sorriso e l’intelligenza del cuore che lo avevano portato a scavare sempre in profondità fatti, pensieri, progetti.
Quell’improvvido illuminarsi degli occhi che esprimeva la sua capacità di stupirsi, di gioire, di condividere una scoperta, era come un inatteso sprazzo di luce nel cielo nuvoloso della cronaca e della storia.
Stanco ma felice, anche nell’impegno, o meglio nel servizio, di direttore di un giornale che è la voce di una Chiesa particolare che “si consuma ” per il territorio e nel mondo. Sempre con il desiderio di servire la verità attraverso la professione giornalistica: fedele alle regole di un mestiere e altrettanto fedele alla dignità di ogni persona. Una sfida che don Elio Bromuri accoglieva con serenità e lucidità grazie alla preparazione culturale, alla scelta dell’incontro e del dialogo, a una fede pensata, alla capacità di scorgere le tracce del passaggio e della presenza di Dio.
E poi raccontare, con la leggerezza di parole scritte con scrupolosa attenzione per non appesantire il procedere della Parola nella storia e nella cronaca.
Quel giorno, a poca distanza dalla morte, prendendo spunto da un libretto del card. Giacomo Biffi, si parlava di tre modi di guardare: “guardare attorno, guardare in alto, guardare dentro”.
Sorrideva perché lui aveva sperimentato queste tre direzioni del fare giornalismo, dell’essere giornalista.
Tre direzioni del suo essere prete, uomo pensante, cristiano.
Ma nel complesso paesaggio dei media scegliere queste tre direzioni significa scegliere tra l’essere fabbricanti di notizie o giornalisti.
Un esercizio non facile ma l’unico che può consentire al giornalismo di coltivare ovunque e comunque la ragione del suo esistere.
Don Elio Bromuri lo sapeva, come sapeva che la fede in questo esercizio di laicità non è pietra d’inciampo ma è testata d’angolo.
La fede non rende la penna o la tastiera del computer più pesante, al contrario le rende più leggere perché la porta della coscienza non si abbatte con un bussare violento e improvviso ma si schiude con un tocco lieve e insistente.
Quello che più conta è la fatica e la bellezza del pensare, quello che davvero conta è vivere il pensare come un atto di amore e di speranza che nella professione giornalistica può trovare spazio tra le righe e può dare un senso ancor più alto ai racconti. Non con un moto di superiorità e superbia ma con un soffio di umiltà e di saggezza.
Lui sapeva tutto questo come sapeva che è necessario coltivare il terreno della comunicazione con la pazienza del seminatore e che occorre camminare sulle strade della comunicazione con il passo lieve del messaggero che ha come meta la coscienza dell’uomo.
Tutto questo forse non appartiene alla cultura e alla società della fretta e dell’apparenza. Don Elio Bromuri però vi entrava in punta di piedi, sapendo che da questo quasi impercettibile inizio della danza nascono i grandi slanci verso l’alto.
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