Serve una commissione antimafia “calabrese”?

È di qualche giorno fa la notizia dell’elezione di sei calabresi nella commissione parlamentare antimafia. Il senatore Nicola Morra (M5S), che è presidente; la deputata  Jole Santelli (FI) vicepresidente, la deputata Wanda Ferro (FI) segretaria della commissione, la deputata Dalila Nesci (M5S), e i senatori Margherita Corradi e Giuseppe Mangialavori del M5S. “Dobbiamo sconfiggere la mafia. Dovrà essere combattuta ogni illegalità, ogni silenzio, in quanto ciò è terreno fertile per quella pianta schifosa che vogliamo estirpare con tutte le nostre forze”, ha dichiarato il presidente neo eletto. Ovviamente siamo d’accordo con le dichiarazioni e i propositi della nuova commissione e del neo presidente, e non possiamo che augurarci che il lavoro che svolgeranno debelli finalmente questo cancro che devasta, uccide e mortifica la nostra terra da ormai troppo tempo. Vogliamo però fare una piccola considerazione sul fatto che la commissione abbia un numero così elevato di calabresi. Qual è stata la logica che ha portato alla loro elezione? La capacità mostrata negli anni nel contrasto alla criminalità organizzata o è bastato solo essere “calabresi”? Perchè se dovesse valere il criterio della territorialità per occuparsi di un tema così importante vogliamo dire che la criminalità organizzata non va combattuta solo al sud e da gente del sud, e che più che di rappresentanti nella commissione antimafia (nonostante il delicatissimo compito che essa svolge), avremmo forse preferito calabresi in altri ruoli chiave del governo, in quei ministeri che si occupano di sviluppo, lavoro, infrastrutture. La mafia va sconfitta con l’occupazione, le strade e i ponti, con la presenza dello Stato. La Calabria deve crescere.