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La religione è una componente della civiltà da cui fuoriescono parole etiche capaci di penetrare nel mondo laico 

Habermas e la Postmetafisica

Il filosofo tedesco riconosce l’importanza di una società intesa come “mondo della vita” in cui i cittadini sono liberi di parlare

Habermas e la Postmetafisica

Nuovo mutamento della sfera pubblica” (Raffaello Cortina Editore) è il libro pubblicato in questi giorni da Jürgen Habermas, nel quale vengono riprese e aggiornate, alla luce delle moderne sfide offerta dalla comunicazione massmediale, le argomentazioni che il filosofo tedesco aveva esposto nella sua tesi di dottorato nel 1962, riguardanti la genesi e le trasformazioni della sfera pubblica politica. Il sociologo di Düsseldorf è tra i principali esponenti, insieme a Horkheimer, Adorno e Marcuse, della Scuola di Francoforte, l’istituto per la ricerca sociale che, partendo dall’idea di “totalità” in Hegel e dalle posizioni di Marx e Freud, ha postulato una teoria critica della società, concepita come un “tutto” avente una sua effettiva struttura dinamica. Sostenuto dal politologo e giurista tedesco Wolfgang Abendroth, Habermas approfondisce i suoi studi sui problemi della comunicazione e sulla funzione dell’opinione pubblica nella società contemporanea, ribadendo il ruolo del raziocinio come strumento di dialogo. Mentre i suoi maestri Horkheimer e Adorno denunciano nell’opera “Dialettica dell’Illuminismo” il lato oscuro di una razionalità scientifica, in grado di annullare la libertà di espressione del soggetto, Habermas vede nel secolo dei lumi il germe della formazione della moderna opinione pubblica, intesa come un aperto spazio di discussione in cui tutti possono intervenire esprimendo le proprie idee. Qui risiede il suo concetto di “sfera pubblica” nella quale i cittadini liberamente interagiscono e democraticamente si confrontano su varie questioni sociali. Questo pensiero è esposto nel suo libro più importante “La teoria dell’agire comunicativo” (1981), nel quale esalta un tipo di “razionalità comunicativa” che legittima le istituzioni politiche, favorisce la formazione di una volontà collettiva e la partecipazione di tutti gli individui non asserviti alla sfera pubblica. Rigetta l’ipotesi della razionalità strumentale di Adorno e Horkheimer, che non fa altro che ridurre i soggetti a strumenti. Habermas distingue tra società intesa come “sistema”, rigidamente determinato da un agire tecnico finalizzato solo a fare soldi, ad avere potere e ad annullare qualsiasi forma di comunicazione, e società come “mondo della vita”, in cui parlante e ascoltatore possono incontrarsi, parlarsi ed esprimere i propri punti di vista, confermandoli o confutandoli. In quest’ultimo modello sociale vige un agire comunicativo fondato su una precisa etica del discorso, che vede la parola come atto linguistico che si concretizza nella prassi quotidiana. Il pensatore contestualizza l’idea della “sfera pubblica” all’interno del moderno contesto comunicativo, caratterizzato dalla presenza pervasiva e invasiva dei Social Network, dei mezzi digitali e, per ultima, dell’IA, non tacendo il rischio di disinformazione che questi strumenti possono generare. I social media hanno un natura ripetitiva perché devono persuadere a scopi commerciali, presentando agli utenti solo le opinioni che più rispecchiano le loro preferenze. Un altro rischio oggi è rappresentato dalla “disintermediazione”, vale a dire quel processo in base al quale le nuove tecnologie permettono di accedere a un gran numero di servizi e di beni senza alcun controllo, diffondendo facilmente fake news fondate su dati emozionali più che razionali, e indebolendo l’idea della libera costruzione della volontà politica. Nel saggio Habermas affianca al concetto di “sfera pubblica” quello di “democrazia deliberativa”, che consiste in una teoria di governo nel quale la volontà dei cittadini non è espressa mediante le elezioni dei loro rappresentanti ma direttamente dal popolo, attraverso una prassi che privilegia la discussione pubblica tra individui liberi, inclusi i migranti, che convivono fra di loro e abbattono le disuguaglianze presenti nell’odierna società. In questa pubblica agorà trovano spazio anche le religioni, che hanno diritto al loro riconoscimento in una realtà post-secolare che vuole metterle a tacere. Nonostante si sia sempre proclamato “un ateo non devoto”, Habermas ha rivisto negli anni la sua posizione nei confronti della religione, giungendo quasi a sconfessare il suo laicismo. È nella necessità di riconoscere l’etica come base della vita socio-politica che deriva il suo rinnovato interesse per la religione. Nello scritto “Verbalizzare il sacro. Sul lascito religioso della filosofia” (2015) l’autore sostiene che la filosofia debba rivedere la sua idea di stato secolarizzato che esclude le comunità religiose, riconoscendo a queste ultime le potenzialità necessarie per sfidare la cultura laica. Sembra quindi crollare la tendenza di stampo illuminista che mirava a togliere respiro al sacro in favore delle scienze razionali. Habermas è consapevole dell’apporto sostanziale che cittadini credenti e illuminati possono offrire allo sviluppo sociale, alla democrazia e alla civile convivenza politica. Oggi bisogna tradurre, in un linguaggio secolare, le peculiarità offerte dalle pratiche di culto, identificando la religione quale suprema forma dello spirito inerente alla filosofia. Si può realizzare così una Postmetafisica, in cui pensiero religioso e secolare convivono tra di loro. La religione – secondo Habermas - diventa quindi una componente della civiltà da cui possono fuoriuscire parole etiche, in grado di penetrare nel mondo secolarizzato, di curare la freddezza delle scienze e di lottare contro i pericolosi processi economici globali, garantendo una vittoria della democrazia e della razionalità comunicativa a discapito di quella strumentale. Celebre la discussione pubblica nel 2004 tra Habermas e il cardinale Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, che definì il pensatore tedesco come suo alleato nonché “Il filosofo laico più puro”. Il futuro papa vedeva il male della chiesa nell’uomo naturalistico, cioè nell’uomo che si affida in tutto all’onnipotenza scientifica, dimenticando che “senza Dio la scienza mai potrà portare alla costruzione della società perfetta”. Come scrisse Ratzinger nel suo libro “Ragione e fede in dialogo. Le idee di Benedetto XVI a confronto con un grande filosofo” (2005), bisogna parlare di “necessità di un rapporto correlativo tra ragione e fede, ragione e religione, che sono chiamate alla reciproca chiarificazione e devono far uso l’una dell’altra e riconoscersi reciprocamente”. Benché siano evidenti le posizioni opposte di entrambi, Habermas concordò con l’idea che è il cristianesimo il fondamento ultimo di libertà, coscienza, diritti dell’uomo e democrazia, i capisaldi della civiltà occidentale, come riporta anche nel suo testo “Tempo di passaggi” (2004). Egli, infine, non nega l’autorevolezza del pensiero di Tommaso d’Aquino e la mancanza di una base religiosa forte nella società contemporanea. L’antidoto a questo male sta nella riscoperta delle radici giudaico-cristiane, che rendono possibile il dialogo interculturale, nella relazione tra fede e ragione laica e nel rigetto dell’idea di una “soggettività scatenata”, che denigra la natura umana impedendole di essere “immagine di Dio”.

Allegato: libro habermas.jpg (38,02 kB)
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