La religione ha sviluppato nel corso dei secoli uno stretto legame con la lingua di Dante
La Chiesa promotrice dell’Italiano nel mondo
Le lingue sono un mezzo per instaurare un dialogo tra popoli e fedi diverse
La lingua, in quanto mezzo comunicativo che identifica un popolo, non può essere ristretta nei limiti imposti dai confini di uno stato. Viaggia in rapporto agli spostamenti delle persone e alla gente che emigra, si mescola alle parlate degli alloglotti che arrivano nel nostro paese, andando incontro a processi di ibridazione, ed è soggetta a variazioni sincroniche e diacroniche. L’Italiano non è solo lingua ufficiale della Repubblica italiana, ma è parlato anche in altri paesi quali il Canada, la Svizzera, la Repubblica di San Marino e la Città del Vaticano, oltre ad essere veicolo di espressione per tante minoranze. La sua diffusione dipende pure dall’azione di istituzioni che la usano per trasmettere i propri saperi. Una tra queste è la Chiesa cattolica, che ricorre ormai all’italiano per redigere i propri documenti e per diffondere il verbo di Dio, senza però disdegnare l’uso del latino. Il Papa pronuncia i suoi discorsi ufficiali in italiano in occasione dei suoi viaggi apostolici, e in questa lingua è stata redatta l’enciclica “Laudato si’’. La sua missione evangelizzatrice, i suoi messaggi rivolti ai fedeli, il suo interessarsi agli eventi internazionali fanno del Vaticano un’organizzazione che difende la nostra lingua, facendo giungere la sua bellezza, i suoi colori e le sue mutazioni a tutti gli angoli del globo. Il rapporto tra la religione e la proliferazione dell’italiano nei cinque continenti è stato al centro delle tre giornate di studio (9-11 novembre) organizzate dall’Accademia della Crusca, con il patrocinio della Regione Toscana, del Comune di Firenze, dell’Associazione Amici dell’Accademia della Crusca, in collaborazione con UniCoop Firenze, presso l’Antica Canonica di San Giovanni e la sede della Crusca a Firenze. Il titolo dell’iniziativa è stato “L’italiano, la Chiesa, le Chiese”, pensata nell’ambito della manifestazione “Piazza delle lingue” dedicata allo studio della lingua di Dante, giunta quest’anno alla sua tredicesima edizione. Si è guardato “ai legami tra religione e letteratura, alla trasmissione dell’italiano attraverso la predicazione e la catechesi, ai testi della letteratura di devozione che sono stati per secoli i più stampati e letti dagli italiani, alle scritture religiose delle donne” - ha detto Rita Librandi, vicepresidentessa della Crusca. La Chiesa ha ripensato l’uso della lingua in chiave ecumenica, scardinando (senza annullarlo del tutto) il rigido conservatorismo che considerava solo il latino quale idioma per la liturgia, e avvicinandosi progressivamente al volgare per far giungere il suo messaggio ai suoi amati poveri. Gli studiosi hanno analizzato testi medievali come il “Cantico” di San Francesco, scritto in volgare illustre per un vasto pubblico, e le lettere di Caterina da Siena, che ebbero allora l’effetto di creare un rapporto comunicativo diretto con laici, ecclesiastici e gente comune, a cui erano rivolti i pensieri di pace e di unione del mondo cristiano della santa. I relatori hanno ricostruito la storia linguistica degli ordini religiosi, tra cui i Salesiani e i Barnabiti, soffermandosi sull’importanza della predicazione quale stimolo all’uso del volgare. Il vescovo Cornelio Musso, per esempio, fu un grande oratore del XVI secolo, che impiegò la lingua italiana nelle sue omelie, tenendo addirittura il discorso inaugurale al Concilio di Trento e adoperandosi per un’autentica riforma della Chiesa romana. Fondamentale anche il progetto culturale di Federico Borromeo (“questa nostra lingua, che è d’Italia”), finalizzato a creare una mediazione tra la Parola di Dio e la parola umana secondo i dettami tridentini. Non sono mancati interventi sulle traduzioni luterane, sulla censura e sulle revisioni linguistiche cinquecentesche, sull’esempio dato da religiose colte e semicolte tra XV e XIX secolo, e sul grande apporto dato alla storia della lingua italiana da Manzoni e da poeti novecenteschi tra cui Rebora, Luzi e David Maria Turoldo. Uno sguardo alla contemporaneità ha portato l’attenzione all’uso politico di tante espressioni religiose, così come al ruolo svolto dagli oratori e dai centri religiosi che hanno reso possibile, con l’educazione, l’utilizzo della lingua italiana – da sempre prerogativa di pochi colti - da parte della povera gente. La manifestazione ha visto la presenza di linguisti di alto spessore tra cui Nicoletta Maraschio, Claudio Marazzini e Paolo D’Achille (presidente della Crusca). Presenti anche l’Arcivescovo di Firenze, mons. Betori, e il presidente emerito del Pontificio Consiglio della cultura, mons. Ravasi. Betori si è soffermato sull’abbandono del latino da parte del clero nel corso degli anni, con l’apertura alla lingua italiana. “Testi biblici e testi rituali si presentano ora ai fedeli nella lingua corrente e ne subiscono l’evoluzione, richiedendo periodiche revisioni” ha detto il presule. La revisione della Bibbia, fatta recentemente dalla Cei alla luce delle ultime ricerche in materia di critica testuale, è stata realizzata secondo le prescrizioni offerte dalla Curia vaticana, la quale ha scelto di puntare su un maggiore letteralismo a discapito della bellezza letteraria della traduzione, dando luogo ad un testo molto vicino agli originali ebraici e greci - secondo Betori. Ravasi ha parlato dell’italiano come di “lingua del dialogo tra le fedi diverse” e del concetto di “parola”, intesa come “categoria teologica” che accomuna ebraismo, cristianesimo e islam. Nelle Sacre Scritture ricorrono vocaboli ed espressioni dalla forte carica simbolica e fonetica, capaci di provocare quell’effetto pragmatico che porta i lettori a credere in Colui che ha generato l’universo (<<In principio c’era il logos…>>) e a seguirne gli insegnamenti (<<E Dio disse…>>). La lingua è dunque un elemento essenziale per creare dialogo, ma è fondamentale anche il silenzio con cui ci si avvicina al mistero di Dio.
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