Havel e quella sentenza che non apre ai matrimoni omosessuali
Capiamo il significato della pronuncia resa oggi dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Quali prospettive apre o, semplicemente, non apre?
Una battaglia a colpi di ricorsi e sentenze è quella che dall’Italia passa per l’ Europa per poi cercare di produrre i suoi effetti sulla normativa italiana in materia di unioni di fatto. Una battaglia di civiltà dicono i più, ma cosa ha effettivamente stabilito la sentenza pronunciata oggi (martedì 21 luglio) dalla CEDU? Non di certo, come molti atecnici sostengono, il riconoscimento de plano del matrimonio gay in Italia! Il caso Oliari e altri contro Italia prende le mosse dal ricorso presentato a Strasburgo da tre coppie omosessuali, guidate da Enrico Oliari, presidente di Gaylib, avverso l'impossibilità di vedersi riconoscere in patria l'unione civile. L’iter prende avvio dal momento in cui le tre coppie omosessuali hanno chiesto ai loro Comuni di residenza di fare le pubblicazioni per poi potersi sposare, ricevendo conseguentemente un rifiuto. In seguito hanno adito il competente tribunale che ha nuovamente respinto la loro richiesta, giudicata inammissibile anche dalla Corte Costituzionale nel 2010. In Italia, infatti, non esiste una legge che riconosca le unioni fra persone dello stesso sesso. La quarta sezione della CEDU, presieduta dal giudice Raimondi, nell’ambito del caso sopra descritto ha riconosciuto “come ad oggi il matrimonio egalitario sia una decisione che compete (ancora) agli Stati”, tuttavia ha condannato l’Italia per la violazione dell’art.8 della Convenzione CEDU sul “diritto al rispetto della propria vita privata e familiare”. La CEDU pare aver inoltre suggerito all’Italia che “un’ unione civile o una partnership registrata sarebbe il modo più adeguato per riconoscere legalmente le coppie dello stesso sesso” definendo come inaccettabile la vacatio legis in materia. La sentenza, che può comunque essere riesaminata ad istanza di parte nel termine di tre mesi, apre sì nuovi scenari ma diversi da quelli presentati dalla maggior parte dei cronisti. Se analizziamo la condanna inflitta all’Italia per violazione dell’art. 8, a qualunque giurista attento e provveduto, ritornerà alla mente un’altra disposizione della Carta Europea dei diritti dell’uomo: l’art. 12. Tale articolo così recita “Uomini e donne, in età matrimoniale, hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l'esercizio di tale diritto”. Uomini e donne, non uomini e uomini e/o donne e donne. Ancora una volta la giurisprudenza cerca artatamente di superare Carte, norme e realtà. Una sentenza che cerca di imporre all’Italia di coprire il vuoto normativo in questa materia, ma che, ancora una volta, spinge nella direzione di regolamentare attraverso la legge dei desideri umani, più che dei diritti. Intraprendere questa strada potrebbe portare a derive bioetiche impensate, soprattutto in termini di adozione, fecondazione eterologa ed utero in affitto. Appaiono appropriate alla situazione giuridico-sociale attuale le parole di Vàclav Havel che Nel potere dei senza potere così scrive: “La legge è sempre – anche nel caso più ideale – solo uno dei modi imperfetti e più o meno esteriori per tutelare ciò che è meglio nella vita rispetto a ciò che è peggio; però non crea mai il meglio da sola. Il suo compito è di carattere servile, non ha in sé il suo significato, dal suo rispetto non viene automaticamente garantita una vita migliore, la quale è opera dell’uomo e non delle leggi o delle istituzioni. Si può immaginare una società che abbia buone leggi, in cui le leggi siano pienamente rispettate e in cui non si riesca a vivere. Invece, si può immaginare una vita decente anche con leggi difettose e applicate in modo imperfetto. Quello che conta è sempre la vita e se le leggi sono al suo servizio o se invece la reprimono; non conta quindi solo se sono o non sono applicate (del resto una loro rigida applicazione potrebbe rivelarsi una calamità ancora più grave). La chiave di una vita umana, dignitosa, ricca e felice non sta nella Costituzione o nel codice penale: essi si limitano a definire che cosa si può e che cosa non si può fare, quindi rendono facile oppure difficile la vita, la limitano oppure no, la puniscono, la tollerano o la difendono; ma non la colmano mai né di contenuto né di significato. Quindi la lotta per la cosiddetta «legalità» deve sempre vedere questa «legalità» nel contesto della vita: se non si tengono gli occhi continuamente aperti sulle dimensioni reali della sua bellezza e della sua miseria e se non si ha con essa un rapporto morale, questa lotta, prima o poi, si arenerà nelle secche di qualche filosofia scolastica fine a se stessa. L’uomo finirebbe per assomigliare automaticamente all’osservatore che giudica la nostra situazione solamente in base agli incartamenti giudiziari e alla verifica del rispetto di tutte le norme prescritte”. Havel ricorda che non è la legge che fa l’uomo e il suo Destino, bensì è l’uomo che deve impegnarsi nella costruzione di una società non basata sulla dittatura del desiderio ma sulla responsabilità. Responsabilità che l’uomo contemporaneo ha, soprattutto, nei confronti delle generazioni future.
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