Mattarella: Una storia di integrazione e accoglienza che ha avuto pieno successo
Il discorso integrale del Presidente, Sergio Mattarella, pronunciato a San Demetrio Corone.
Signor Presidente della Repubblica di Albania, amico Presidente Meta
Un saluto al Presidente della Regione, al Sindaco, e attraverso di lui a tutti i suoi concittadini, al Presidente della Provincia, ai Sindaci presenti che testimoniano quanto sia diffusa la presenza arbëreshe in sette regioni d’Italia.
Un saluto particolare alla delegazione che accompagna il Presidente Meta.
Vorrei ringraziare molto il prof. Altimari per la sua completa e interessante ricostruzione e i due studenti per i loro saluti e le considerazioni che hanno svolto.
Vorrei ringraziare anche il coro dei ragazzi che hanno cantato con pari coinvolgimento l’Inno nazionale albanese e l’Inno nazionale italiano e il coro che prima nel cortile ci ha offerto due canti arbëreshe: il primo era uno struggente canto di nostalgia per la madre patria.
A tutti un saluto molto cordiale, Buongiorno, falem, mirëmëngjes !
E’ per me un grande piacere essere con voi oggi – insieme al Presidente Ilir Meta – a San Demetrio Corone, uno dei centri propulsori della cultura arbëreshe in Italia. Un luogo significativo, nel quale tutti – albanesi, italo-albanesi, italiani – possiamo sentirci davvero a casa insieme.
I discendenti dell’Arbërìa hanno radici in un Paese vicino, amico e alleato, oltre che per l’Italia davvero importante partner strategico.
Ho dato il benvenuto in Italia al Presidente della Repubblica d’Albania nel luglio scorso, in occasione della sua prima visita ufficiale all’estero, e ho raccolto con vero entusiasmo la sua proposta di incontrarci nuovamente, in una cornice che ci consentisse di manifestare, in maniera di particolare evidenza, i profondi legami storici e culturali, oltre che politici ed economici, che uniscono i nostri Paesi e, soprattutto, i nostri popoli.
Nell’antico ed articolato quadro di rapporti, affinità e interessi comuni tra Albania e Italia, gli arbëreshe costituiscono uno dei più autentici esempi dell’antico rapporto di vellamja, di “fratellanza” tra i nostri popoli.
Albanesi d’origine e italiani da oltre 500 anni, hanno conservato con orgoglio le antiche tradizioni, i riti religiosi, la lingua degli avi, fornendo, al contempo – con il coraggio e attraverso i loro ideali – un contributo rilevante alla nascita e all’unità del nostro Paese.
Il Collegio italo-albanese di Sant’Adriano, che oggi ci ospita, costituisce una testimonianza di grande importanza e significato di questo intreccio, di questa profonda e feconda commistione.
Tra queste mura si formarono insigni patrioti, coraggiosi animatori dei moti calabresi del 1844 e del 1848, illustri esponenti del Risorgimento italiano e, successivamente, albanese. Qui studiò, tra gli altri, Girolamo De Rada, poeta e fondatore de “L’Albanese d’Italia” – il più antico periodico in lingua albanese del mondo – che contribuì all’indipendentismo italiano ed albanese e diede un contributo straordinario agli studi sulle radici del popolo arbëreshe.
Qui si formò Pier Domenico Damis, generale e patriota distintosi durante la “spedizione dei Mille”.
Da questo Collegio provenivano anche alcuni studenti arbëreshe che salparono da Quarto con le truppe garibaldine, con i Mille; i cui “servigi resi alla causa nazionale” sono celebrati nella lapide marmorea posta all’ingresso di questo suggestivo complesso.
Di origini arbëreshe erano anche Francesco Crispi e Antonio Gramsci, protagonisti della storia del nostro Paese e del cammino di costruzione della sua unità, della sua identità.
L’ardente attaccamento dei discendenti albanesi alla “nuova patria” pose in stretta, indissolubile connessione le vicende storiche dell’Albania e dell’Italia. Un intreccio che portò il poeta Zep Serembe a scrivere che “il grande prode in camicia rossa eguaglia il nostro Skanderbeg”. L’eroe nazionale albanese è stato più volte definito “il Garibaldi d’Albania”.
Un accostamento che rende questa commemorazione ancor più densa di significato. Come Garibaldi per l’Italia, Skanderbeg non fu, infatti soltanto il protagonista dell’unità albanese, ma divenne, nel tempo, il simbolo dell’orgoglio nazionale.
Un simbolo nel quale tutto il “popolo delle Aquile” si identifica, anche fuori dai confini albanesi. Egli difese strenuamente principi e valori che conservano oggi stringente attualità: l’accettazione della diversità, e il rispetto delle identità dei singoli, come punto di partenza per l’edificazione di un’identità nazionale che trascende e include, valorizzandole, le specificità di ciascuno.
Le sue stesse origini, da genitori di diversa confessione religiosa e la sua esperienza da ragazzo cresciuto musulmano riconvertitosi al cattolicesimo, a capo di un esercito multietnico e pluriconfessionale, Skanderbeg seppe incarnare il superiore interesse comune che comprende e riassume appartenenze etniche o confessionali.
La sua figura ci trasmette un messaggio di straordinaria importanza, non soltanto per l’Albania – Paese multiculturale e multireligioso nel quale, secondo il poeta Vaso Pasha, l’unica fede è “l’albanesità” – ma anche per l’Italia, per i Balcani e per l’intero continente europeo.
L’eredità più autentica e attuale che questo abile e sensibile stratega, diplomatico e politico, ci ha lasciato è la promozione di un modello statuale che coniuga e sa contemperare le differenze. Un messaggio che aiuta ad orientarci e agire in un’epoca nella quale sembrano moltiplicarsi e prevalere artificialmente le tensioni, l’esacerbarsi degli scontri, l’enfatizzazione delle differenze, il miope innalzamento di barriere ideologiche e identitarie che presuppongono una contrapposizione permanente con “l’altro”.
Del messaggio di Skanderbeg gli arbëreshe si sono fatti, nei secoli, testimoni e promotori. La diaspora albanese, che nell’eroe nazionale identificò il collante della condizione di “popolo in fuga”, è riuscita a mantenere vivo il legame con la patria d’origine, in maniera costante, profonda, integrandosi pacificamente ed efficacemente in varie zone d’Italia.
Un’esperienza che costituisce – mi fa piacere ricordarlo – una concreta manifestazione del principio enunciato nel sesto articolo della nostra Costituzione, dedicato alla tutela delle minoranze. Una previsione che rappresenta uno snodo di fondamentale importanza, perché inscindibilmente collegato all’unità e indivisibilità della nostra Repubblica, con il riconoscimento e la valorizzazione delle diverse culture nazionali presenti nel Paese. Una previsione che si pone a presidio del pluralismo, cardine della democrazia ed elemento imprescindibile di un sistema che non vuole assimilare le differenze, ma riconoscerle e valorizzarle e avverte costantemente questo dovere.
Gli arbëreshe costituiscono una storia di integrazione e accoglienza che ha avuto pieno successo, un esempio di come la mutua conoscenza e il reciproco rispetto delle culture siano strumento di crescita per le realtà territoriali e per i Paesi in cui le diverse comunità vivono. La preservazione delle antiche origini, la reciproca influenza, la fusione armonica di lingua, cultura e tradizioni, sono state nei secoli e sono ancora oggi il “valore aggiunto” di queste comunità. Realtà che svolgono un’essenziale funzione di ponte tra i due “popoli di fronte”, come spesso ci si riferisce ad albanesi e italiani.
Signor Presidente,
Autorità
Care concittadine e cari concittadini
a questo storico amalgama si aggiunge, arricchendolo e rafforzandolo, il contributo degli albanesi che, in tempi più recenti, hanno scelto di venire in Italia per ragioni di studio o di lavoro. Una comunità di circa mezzo milione di persone che ha cercato e trovato, in questi anni, opportunità di inserimento e integrazione. Lo dimostrano, tra gli altri, i 112.000 studenti albanesi nelle scuole italiane, i 10.000 universitari impegnati nei nostri atenei e le decine di migliaia di attività imprenditoriali animate da cittadini albanesi.
Gli italiani di origini albanese e gli albanesi “d’adozione italiana” sono due facce di una medaglia preziosa. Essa raffigura lo straordinario apporto che nel corso degli ultimi 500 anni dall’Albania è venuto allo sviluppo sociale, civile, culturale ed economico dell’Italia. Un contributo che, reciprocamente, si manifesta oggi anche nella sempre più consistente presenza italiana nel “Paese delle aquile”, terra di nuove opportunità per i cittadini italiani che vi si recano in numero rilevante.
Signor Presidente,
lo straordinario patrimonio che Skanderbeg ha lasciato non deve essere disperso, e oggi stiamo contribuendo a preservarlo e va fatto proprio dalle giovani generazioni dei nostri Paesi. A questo proposito, desidero complimentarmi con il Liceo-Ginnasio di San Demetrio Corone per le sue lungimiranti iniziative, tese a favorire proficui scambi tra studenti albanesi e italiani attraverso viaggi di studio e progetti di alternanza scuola-lavoro, come quello realizzato, poche settimane addietro, in Albania.
Soltanto il nutrimento delle nostre radici, accompagnato dal rispetto e dall’apertura nei confronti di quelle altrui, possono consentirci di procedere con determinazione e serenità verso il futuro.
Un futuro nel quale – sono convinto – anche l’Albania sarà parte integrante dell’Unione Europea, dopo l’ingresso avvenuto nella comunità euro-atlantica. Questo è un obiettivo, importante per tutta l’Unione, e che l’Italia sostiene con grande convinzione e determinazione.
A unirci, al di sopra di tutto, la comune vocazione a costruire, insieme agli altri membri della famiglia europea, un continente unito, integrato e pacifico.
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