Europei, l'eredità degli azzurri
La squadra si è fatta onore e ha conquistato gli italiani, anche se non ha vinto.
Usciti, ma con onore. Mentre questo Europeo dal tasso tecnico non certo esaltante va agli archivi, con una serie di gradite sorprese (Islanda e Galles su tutte), di conferme assolute (Germania e Francia) altrettante cocenti delusioni (la solita Inghilterra che non decolla mai e la Spagna in fase calante), ci interroghiamo sulla parabola azzurra interrotta solo dalla Nazionale tedesca a quella lotteria dei rigori che per noi, a parte l’esito di Berlino 2006, continua a essere una maledizione, iniziata dai tiri maldestri di Baresi e Baggio ai Mondiali di Usa 94, proseguiti dalla traversa di Di Biagio a quelli di Francia 98, per passare all’addio agli Europei 2008 a opera degli spagnoli. Stavolta ci ha punito l’ottusa baldanza dei Pellè e il balletto improbabile sul dischetto di Zaza, ma sarebbe davvero riduttivo limitare la nostra missione a questo epilogo.
Diciamo la verità: tutti, all’inizio della spedizione azzurra, avevamo bollato questa squadra come la più modesta degli ultimi 30 anni, forse con un po’ di superficialità. Avevamo criticato la scelta del ct Conte di aver già fatto sapere la sua futura destinazione al Chelsea come fattore disgregante per un gruppo che invece si è rivelato granitico e impermeabile a ogni fattore esterno. Non solo: il blocco difensivo juventino, da Buffon a Barzagli, da Chiellini a un Bonucci ormai diventato un campione di statura mondiale, ha saputo contagiare tutto il resto del team, creando quello spirito di sacrificio che ci ha permesso di disputare partite impensabili alla vigilia. Solo così si spiega la bella affermazione all’esordio con un Belgio dei giovani assi Wittsel e Hazzard che sembrava una delle favorite per la vittoria finale (e che poi è andata incontro a una fine ingloriosa con il Galles), con una Svezia comunque arcigna e con un Ibrahimovic al suo canto del cigno in Nazionale, e infine contro una Spagna surclassata proprio sul piano del gioco, il terreno su cui per anni Iniesta e compagni avevano dettato legge in Europa e nel mondo.
Anche nella gara contro i tedeschi, tecnicamente e fisicamente ben superiori, abbiamo sfoderato energie e capacità impensabili, costringendo ancora una volta i tedeschi a non vincere una gara con gli azzurri nei 120 minuti di gioco e cedendo solo ai calci di rigore. Così si spiega il rinnovato entusiasmo attorno agli azzurri: il valore dei ragazzi di Conte, al di là del risultato finale, ha nuovamente creato quel feeling fortissimo che recentemente si era appannato e che invece è riesploso, perché gli italiani hanno capito che questa squadra, sicuramente non all’altezza di formazioni memorabili tipo Messico ’70, Spagna ’82 o Germania 2006, ha però dato sul campo tutto quello che aveva, mostrando anche giovani interessanti e dimostrando soprattutto che la scuola italiana, pur bistrattata a livello di club nelle coppe in campo europeo, nelle competizioni per nazioni riesce quasi sempre a gettare il cuore oltre l’ostacolo, diventando a un certo punto un osso durissimo per chiunque la debba affrontare.
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