Al capezzale della sanità malata
Tra condanne e casi di presunta malasanità il sistema rischia il collasso
In questa calda estate le notizie sulla malasanità in Calabria si susseguono una dopo l'altra. Condanne dei giudici che danno soddisfazione a familiari arrabbiati dopo decine di anni, morte per mancanze di sacche di sangue o presunta gestione dei presidi superficiale e distratta. Responsabilità politiche, accuse, tavoli e bilanci che non quadrano. Si snocciolano, giorno dopo giorno, le tante difficoltà che rischiano di diventare macigni soprattutto negli ospedali piccoli (assorbito o no) dalle grandi aziende. Ma la situazione rischia di aggravarsi con centinaia di pensionamenti che tra settembre e dicembre (grazie a quota 100 permetteranno al personale di godersi gli anni dei contributi versati) ma le aziende rischiano la crisi se non ci sarà un turnover. L'avvicendamento è necessario, i reparti e i punti di accoglienza (dalle persone alle pratiche) rischiano di restare vuoti. I sindaci convocano riunioni e tavoli, ma forse bisognerebbe alzare la qualità della protesta, civile e pacifica, facendo sapere al governo che così non può andare. Dalla regione ai comuni, i primi cittadini, dovrebbero rimettere il mandato, perchè qui non si tratta di strade non asfaltate o rifiuti non raccolti, quando si annuncia il rischio della carenza di medicine negli ospedali. Basta farsi una camminata negli ospedali e disservizi, difficoltà e lamentele da tutte le parti. Utenti, medici, infermieri e personale. Una via crucis per la Calabria dagli appelli inascoltati, dove chi può sta fermo per paura di inchieste, un pò come l'Ilva di Taranto. Ma intanto la gente soffre, la gente muore. Le eccellenze mediche e professionali ci sono ma non bastano a colmare questa voragine. Ci si arrangia un pò come si può. E grazie a Dio c'è la solidarietà dell'amico e del conoscente che ancora regge. Altrimenti si deve prendere la valigia in mano ed emigrare anche per un esame più serio.
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