Il magistrato Airoma: i diritti al tempo del coronavirus, urgenze ed emergenze
Il procuratore aggiunto alla Procura di Napoli Nord, ha tenuto nei giorni scorsi la videoconversazione "Educazione (scuola, università, ricerca) e Giustizia: emergenze infinite. Che fare?"
Domenico Airoma, vicepresidente del centro studi “Rosario Livatino”, dirigente di Alleanza Cattolica, procuratore aggiunto alla Procura di Napoli Nord, ha tenuto nei giorni scorsi la videoconversazione "Educazione (scuola, università, ricerca) e Giustizia: emergenze infinite. Che fare?" e gli abbiamo chiesto il perché della focalizzazione proprio su tali aspetti.
Le questioni legate all’educazione in senso lato ed alla giustizia – processi civili e penali, situazione dello stato di diritto -, insieme con l’aspetto della libertà religiosa (diritto al culto pubblico) sono stati proprio quelli maggiormente negletti nelle fasi di epidemia dei mesi scorsi. Temi, al contrario, fondamentali per ogni consorzio civile, quali appunto quelli indicati, sono stati relegati ai margini del “discorso pubblico”, considerati “secondari” rispetto alla salute e all’alimentazione. Quel che colpisce è la riduzione dell’uomo ai suoi bisogni materiali e l’assoluta obliterazione delle domande, pur fondamentali, che pone la mente e lo spirito; domande che sono state ritenute irrilevanti, con conseguenze che apprezzeremo, credo, nella fase post-pandemia. Ci si è focalizzati solo sull’emergenza sanitaria, senza preoccuparsi del “dopo” ed anche del “qui ed ora”.
L’approccio statuale è stato solo settoriale e “materialistico” per così dire?
Si, purtroppo. Per usare una nota metafora missionaria invece di fornire la lenza ed insegnare a pescare si sono distribuiti “pesci” (e neppure sufficienti). Scuole, tribunali e chiese o chiuse o “inaccessibili” non hanno fatto parte dello scenario a disposizione dell’uomo sottoposto al confinamento, in tal modo privandolo di beni che la Costituzione ritiene indispensabili per la crescita di una civiltà. Se, poi, aggiungiamo la considerazione che i governanti, succedutisi in questi ultimi decenni, hanno riservato all’educazione ed alla giustizia, ne deriva un quadro desolante. Basti dire che l’Italia è al 38° posto dei paesi Ocse per risorse destinate alla scuola; senza considerare l’ostracismo, soprattutto dell’attuale compagine governativa, nei confronti delle scuole paritarie, vero banco di prova del rispetto della libertà di educazione e dei diritti delle famiglie. E per la Giustizia non va certo meglio; all’asfissia delle risorse, si è aggiunta la paralisi dei processi, per cui, peraltro, l’Italia ha anche subito la condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. A ciò deve aggiungersi il lascito che un’educazione da remoto, così come una giustizia a distanza, può riservare all’uomo post-pandemia, accrescendo il senso di desolante abbandono e l’esasperazione individualistica. Non si tratta solo di questione di “fondi” insufficienti, benché quelli pure siano importanti, ma dell’assenza di una visione strategica, se è vero che l’istruzione e l’amministrazione della giustizia, come l’espressione pubblica della fede, sono stati –e tuttora lo sono- considerati residuali rispetto alle vendite dei tabacchi (!) e dei giochi d’azzardo o dei generi alimentari. In Occidente, però, non dappertutto è così: in Gran Bretagna sono state riaperte le scuole prima dei pub.
Lei non esprime considerazioni “di polemica politica di parte”
L’aggravarsi della situazione socio-economica generale per gli effetti recessivi dell’epidemia richiede la fine delle sterili contrapposizioni su questioni marginali (ed invece purtroppo sembra che tutto si ripeta persino peggio di prima). Non dimentichiamoci dei rischi che portano con sé domande legittime e lecite a cui non viene data adeguata risposta perché sono il terreno privilegiato della risposta mafiosa. Inoltre, quel che vien fuori è l’accentuata presenza sulla scena pubblica di tecnocrati di ogni tipo e di burocrazie sempre più autoreferenziali (il pietoso e penoso panorama della Magistratura che emerge dal virus trojan informatico è emblematico). Per non parlare dei corpi intermedi paralizzati o smarriti ed ignorati dal potere esecutivo che esonda pure rispetto alle prerogative ed alla dignità del Parlamento.
Qual è la via di uscita?
Resta sempre l’uomo: «oggi il fattore decisivo è sempre l’uomo stesso» (Centesimus annus, n. 32) e non le strutture, e che «lontano da Dio l’uomo è inquieto e malato» (Caritas in veritate, n. 76).
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