Coalizioni: quale sarà il menu?
Le coalizioni di cui si parla in realtà sono soltanto degli accordi elettorali per massimizzare il risultato, in quanto nei collegi uninominali vince il seggio chi prende anche solo un voto più degli altri. Con la nuova legge elettorale (ma tanto più con il sistema che era rimasto in vigore prima della riforma) non si vota per scegliere un governo o un leader. In questo senso l'effetto ottico delle elezioni siciliane – in cui invece si eleggeva direttamente il presidente – ha finito per rafforzare l'equivoco. Non solo...
Mentre l’attività parlamentare procede tra la legge di bilancio e la commissione d’inchiesta sulle banche – e non mancano i sussulti sull’uno e sull’altro versante – le cronache parlamentari registrano quasi quotidianamente i movimenti dei partiti alle prese con le coalizioni con cui presentarsi alle prossime elezioni. Elezioni che, nell’ipotesi prevalente di un voto entro metà marzo, possono apparire vicinissime o paradossalmente lontane a seconda del punto di vista. La prima prospettiva è del tutto evidente sul piano cronologico, la seconda tiene conto invece della sensazione di incertezza per quanto ancora potrebbe accadere di qui all’apertura dei seggi.
Del resto non è ancora definito quale sarà il menu che verrà offerto agli elettori nelle prossime consultazioni politiche. Il M5S si presenterà da solo e questo è un dato certo. Il centro-destra ha essenzialmente un problema di equilibri interni tra Forza Italia e Lega e quindi di baricentro politico della coalizione (questione tutt’altro che irrilevante), ma il tridente con Fratelli d’Italia appare scontato dopo il successo siciliano. Tutto in alto mare, invece, dalle parti del centro-sinistra e della sinistra, dopo che il voto siciliano ha reso esplicito quanto si sapeva già da prima, e cioè che senza un accordo più ampio la sconfitta nelle urne è inevitabile.
Resta un equivoco di fondo di cui sarà bene che gli elettori prendano coscienza: le coalizioni di cui si parla in realtà sono soltanto degli accordi elettorali per massimizzare il risultato, in quanto nei collegi uninominali vince il seggio chi prende anche solo un voto più degli altri. Con la nuova legge elettorale (ma tanto più con il sistema che era rimasto in vigore prima della riforma) non si vota per scegliere un governo o un leader. In questo senso l’effetto ottico delle elezioni siciliane – in cui invece si eleggeva direttamente il presidente – ha finito per rafforzare l’equivoco. Non solo. A livello nazionale, a meno di un cambiamento radicale e al momento non prevedibile del comportamento degli elettori, per costruire una maggioranza di governo è del tutto verosimile che dopo il voto le coalizioni elettorali debbano scomporsi e se ne debbano ricomporre di nuove. Si è parlato delle “larghe intese” tra Pd e Fi o di un ipotetico fronte “sovranista” con M5S, Lega e Fdi. Al momento di tratta soltanto di casi di scuola, ma qualcosa del genere dovrà per forza avvenire, a meno che gli elettori non decidano all’improvviso di riversarsi in massa su uno solo dei tre poli.
Diventa dunque molto importante il voto di lista, attraverso cui i cittadini possono premiare questa o quella componente della coalizione elettorale. L’elettore, infatti, sulla scheda potrà votare non soltanto il candidato del collegio uninominale, ma anche una delle liste che lo sostengono. E si tratterà di un’opzione doppiamente pesante perché i voti dati al solo candidato uninominale (qualora, cioè, non si sia scelta anche una lista) saranno distribuiti tra le forze che lo appoggiano in proporzione dei voti che ciascuna lista avrà ricevuto dagli altri elettori.
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