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Domande per i futuri sindaci. In attesa delle risposte...

Una bella fetta d'Italia torna alle urne domenica 19 giugno per eleggere i sindaci di 126 Comuni. Città metropolitane e minuscoli centri. Tra i quasi tre milioni di abitanti della Capitale e i poco più di mille di Civita D'Antino è veramente rappresentato tutto il Paese. A tutti i sindaci che saranno eletti, a futura memoria, poniamo alcune domande su onestà e trasparenza, sull'aiuto ai cittadini per fronteggiare la crisi, sul contrasto al gioco d'azzardo.

Domande per i futuri sindaci. In attesa delle risposte...

Una bella fetta d’Italia torna alle urne domenica 19 giugno per eleggere i sindaci di 126 Comuni, tra cui 6 capoluoghi di Regione (Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, Trieste) e 14 capoluoghi di provincia (Benevento, Brindisi, Carbonia, Caserta, Crotone, Grosseto, Isernia, Latina, Novara, Olbia, Pordenone, Ravenna, Savona e Varese). Ci sono anche 5 Comuni con meno di 15mila abitanti (limite al di sotto del quale si vota con il turno unico) in quanto la consultazione del 5 giugno ha prodotto un pareggio tra i due candidati più votati. Insomma, tra i quasi tre milioni di abitanti della Capitale e i poco più di mille di Civita D’Antino è veramente rappresentato tutto il Paese.
Da lunedì verrà quindi il momento in cui, al di là delle analisi politologiche degli scenari nazionali, i sindaci eletti dovranno finalmente dedicarsi all’amministrazione delle nostre città, dei nostri paesi. Per questo vorremmo lasciare sul loro tavolo in municipio qualche domanda di quelle semplici ed essenziali, che investono la vita delle persone e delle famiglie. Non pretese e o ricette, ma domande che non possono restare senza risposta. Va da sé che le situazioni in cui si troveranno a operare saranno profondamente diverse tra una metropoli, una città di provincia e un piccolo paese. A Roma (tanto per fare un esempio un po’ minimalista, ma reale) i cittadini maledicono ogni giorno le buche che rendono avventurosa la circolazione sulle strade. A Civita d’Antino c’è da dubitare che l’argomento sia così sentito… Eppure ci sono dei filoni che in una certa misura riguardano tutti. Tenendo conto che le competenze dei Comuni, in quanto tali o come porta d’accesso a prestazioni statali e regionali, sono veramente tante. La domanda di onestà e trasparenza, per cominciare. Non ci si può rassegnare all’idea che l’amministrazione della cosa pubblica debba convivere pacificamente con la corruzione. E’ una questione etica decisiva, su cui si gioca il senso stesso della cittadinanza comune. In certi settori – basti pensare all’assunzione di personale o all’assegnazione degli alloggi popolari – l’esigenza di equità diventa un grido di giustizia assordante. Ma è anche una questione di pratica gestionale, perché incide sulla distribuzione delle risorse (che sono molto meno ridotte di quanto a volte si tenda a far credere) e sull’andamento delle attività economiche, dal commercio all’edilizia. C’è qui un’esigenza forte di moralità personale, ma anche di procedure appropriate che riducano a priori i margini del malaffare, consentano un controllo puntuale preventivo e successivo e permettano un impiego efficiente dei fondi e delle strutture di cui la comunità dispone.
Un’altra domanda è sicuramente condivisa da tutti:

che cosa può fare un Comune per aiutare i cittadini a fronteggiare la crisi?

Se è vero, come affermano tutte le ricerche sul campo, che la famiglia è l’unico soggetto che ha fatto argine allo tsunami economico, sarebbe forse il caso di puntare su di essa anche a livello locale. Sia come criterio ordinatore (la legge che elenca le “funzioni fondamentali” dei Comuni affida a tali enti la “progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione delle relative prestazioni”) sia come destinataria di interventi. Aiutare la famiglia vuol dire tante cose, anche indirette: assicurare una mobilità decente, per esempio, è importante per le conseguenze che ha sui tempi di vita. Altro esempio, più diretto, è il discorso sulle scuole per l’infanzia, con l’apporto insostituibile delle paritarie che andrebbero sostenute nell’interesse di tutti e non lasciate in balìa di una macelleria fiscale che disconosce il loro ruolo pubblico prezioso.
Ma parlare di famiglia vuol dire anche aprire il capitolo delle situazioni di disagio, economico e non. Pensiamo ai disabili, agli anziani soli, ai giovani senza rete, ma anche alle periferie abbandonate a se stesse. Qui i Comuni hanno compiti e responsabilità molto larghi (e quindi gravi) e non possono pensare di riuscire a fare tutto in proprio, rinunciando a valorizzare le esperienze di volontariato e di privato-sociale. Ai sindaci non è scontato chiedere se sono consapevoli che il tasso di civiltà di una città o di un paese si misura dal modo in cui vengono affrontate queste situazioni di difficoltà e di emarginazione. La crisi economica, con tutte le devastazioni che ha provocato, forse però ci ha fatto capire che la società non si può più guardare dai piani alti…
Costruire comunità inclusive è la sfida che abbiamo tutti davanti, non un lusso buonista. E’ la prospettiva che vale anche per la questione degli immigrati e delle diverse etnie in generale. Ai nuovi sindaci va quindi chiesto di non contrapporre mai accoglienza e sicurezza. Se si creano o si alimentano ghetti, se si moltiplicano le persone che vivono in condizioni non degne della dignità umana, di quale sicurezza vogliamo parlare? L’accoglienza non ha alternative, è la qualità dell’accoglienza che fa la differenza.

Un’ultima domanda riguarda un problema non nuovo, ma che negli ultimi anni ha assunto una dimensione drammatica: il gioco d’azzardo. Ai nuovi sindaci si deve chiedere che facciano tutto quanto è in loro potere per mettere i bastoni tra le ruote di chi lucra sulla disperazione e sulla fragilità. Trattandosi di esercizi commerciali gli strumenti per farsi sentire non mancano. Finito? Sarebbe bello poter lasciare uno spazio bianco per dare a ciascun lettore la possibilità di scrivere una domanda per i futuri sindaci (o anche per quelli in carica, perché no), se non si fosse riconosciuto in quelle proposte o ne avesse più a cuore un’altra. Ma a ben vedere, chi vive in uno dei 126 Comuni al ballottaggio il posto in cui esprimersi già lo ha: la scheda elettorale.

Fonte: Sir
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