Il "buoncostume" parla cinese
Il Partito comunista cinese detta regole di moralità ai suoi dirigenti.
Il Partito comunista cinese detta regole di moralità ai suoi dirigenti
Che c'entra la Cina?! L'impressione è che c'entri sempre più spesso e che noi eurocentrici incalliti dovremmo riuscire a leggere gli eventi, i giornali (e il mondo) con uno sguardo che superi le colonne d'Ercole del nostro sempre più stretto Mediterraneo (per quanto ancora crocevia drammatico per milioni di persone).
È di qualche giorno fa la notizia che dal 12 ottobre ultimo scorso è entrata in vigore una norma anticorruzione che riguarda gli 88 milioni di iscritti al Partito Comunista Cinese, ben più di tutta la popolazione italiana, che - come si sa - di milioni arriva solo a 62! La suddetta norma suona in modo piuttosto inusuale: divieto assoluto a banchetti stravaganti; completamente bandite le partite a golf (e anche - pare - la costruzione degli stessi campi); last but non least: vietate le relazioni extra-coniugali.
Interessante, non trovate, che la moralità dei costumi venga oggi proposta da quell'ultima muraglia ideologica che è il monolitico partito di governo cinese?
Cosa si nasconde dietro questo tentativo di ripristinare o conservare un barlume di legittimità del potere? Questa ventata moralizzatrice che punisce col carcere il dirigente trovato sul green invece che al lavoro e che entra perfino fra le lenzuola dei membri del partito, è solo un enorme sepolcro imbiancato che si estende con la sua ipocrisia sul Paese più popoloso del mondo, o può essere un segnale dall'Estremo Oriente a tutto l'emisfero occidentale?
Al di là del condannare il metodo totalitario con cui si pretende di inculcare un comportamento morale sugli individui, ho impressione che si possa trarre un insegnamento da quella che a noi potrebbe sembrare solo una notizia di colore da un Paese che nulla ha a che fare con noi.
Forse aveva visto giusto già cinquecento anni fa il grande gesuita e scienziato Matteo Ricci, quando cercava di far convivere mondi che sembravano troppo lontan i. Di fatto questo pioniere dell'inculturazione della fede riteneva che fra la morale del Vangelo e quella proposta da Confucio non vi fossero gravi contraddizioni, e si potesse partire proprio da tale comune terreno antropologico per un dialogo fecondo su cui innestare i presupposti della missione.
Sembrerebbe impossibile che oggi si arrivi a queste stesse conclusioni e però non si sanino le fratture che rendono ancora impraticabile, per esempio, la presenza pacifica della Chiesa Cattolica nel tessuto sociale cinese; ma, tornando alle norme di "buoncostume", non riesco a non soffermarmi sul divieto di avere amanti e quindi sull'invito alla fedeltà matrimoniale.
Il modello di dirigente cinese, ovvero di uomo cinese, non è solo un uomo sobrio e laborioso - che non spende per cose futili e non si balocca in sport lussuosi - ma soprattutto un uomo monogamo e fedele. A rischio ancora una volta di sembrare ingenuo, mi chiedo se oggi in Italia, e ancor più in Europa, un dirigente politico che richiamasse la fedeltà coniugale come un valore in sé, senza tirare in ballo alcuna fede religiosa, sarebbe ascoltato senza sorrisi di compiacenza o addirittura discredito.
Non c'è bisogno di far chissà quale statistica fra i casi di cronaca nera che tali diventano partendo dall'essere rosa; neppure di fare astrusi sondaggi sul tradimento come habitus, derubricato non solo dal diritto, ma talvolta anche dal confessionale (non perché venga assolto con o senza pentimento, ma perché non viene neanche confessato!). Basterebbe esporsi per una ventina di minuti al flusso di spot pubblicitari di cui siamo destinatari su tutti i tipi di media: l'uomo vincente, l'uomo che regge all'urto della rampante donna moderna è l'uomo che può permettersi di cambiare partner senza subire danni, l'uomo che ti prende e ti molla, l'uomo che ti sa blandire, ti sa affascinare, ma che ha scientemente disimparato ad amare.
Sarebbe uno scenario assai cupo, se non fosse che quest'uomo non esi ste… neanche in Cina.
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