"Diversità di opinioni, ma dottrina e misericordia camminano insieme"
“Le sofferenze delle famiglie vanno ben oltre quelle dei divorziati risposati”, ha puntualizzato Fouad Twal, patriarca di Gerusalemme, richiamando le famiglie povere, migranti, in guerra, vittime di violenza e costrette a lasciare le proprie terre. In molti interventi è riemersa anche la necessità di un “nuovo linguaggio”.
Diversità di opinioni, concretezza, unanimità nella convinzione che misericordia, verità e dottrina camminino insieme. Molto presente la questione dell’ammissibilità dei divorziati risposati all’eucaristia anche se, è stato precisato, non vi è stato al riguardo alcun intervento esplicito. È la fotografia dei lavori del Sinodo, giunti oggi, 19 ottobre, alla terza e ultima settimana con la discussione nei Circoli minori della terza parte dell’Instrumentum laboris.
Intervenuto al briefing odierno, Sua Beatitudine Fouad Twal, patriarca di Gerusalemme dei latini, ha definito il Sinodo “un segno bellissimo di collegialità”. “Più che normale che vi siano diversità di opinioni, veniamo da contesti differenti”, ma “tutti desideriamo il bene della famiglia”. Monsignor Mark Benedict Coleridge, arcivescovo di Brisbane e relatore di uno dei Circoli minori, ha testimoniato l’impegno comune di arrivare al testo finale da consegnare al Papa, ma si è detto “profondamente convinto che il lavoro non si concluderà domenica”. Rispondendo ad una domanda sulla “rivoluzionarietà” del discorso “programmatico” di Papa Francesco, sabato scorso in Vaticano durante la commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi, mons. Coleridge lo ha definito “storico, il più importante del Sinodo” ma, ha aggiunto, “non sono certo si possa definire rivoluzionario”. Di “grande novità” il modo in cui “ha sottolineato l’importanza della sinodalità in tutta la Chiesa, e non ogni tanto ma come caratteristica permanente”, e della “collegialità episcopale”. Di qui l’idea di “un sinodo nazionale per il mio Paese”.
Sull’eventuale impatto del gesto del ragazzo che ha condiviso l’Eucaristia con i genitori sulle posizioni dei padri sinodali, Twal ha spiegato che ha commosso tutti ma che ci sono ancora “tante domande per la testa”. Per mons. Coleridge, occorre entrare in contatto con la realtà e ragionare “in termini concreti”. Richiamando gli oltre 30 anni trascorsi occupandosi di pastorale familiare, monsignor Enrico Solmi, vescovo di Parma, ha osservato: “Questo bambino ci ha mostrato una vita vera e autentica, ha scosso l’assemblea e mi ha fatto venire in mente situazioni simili. Tuttavia l’accoglienza nella Chiesa ha tante forme”. Con delle precisazioni: la necessità della “conversione” richiamata da Twal, e la distinzione, invocata da mons. Coleridge, tra “un secondo matrimonio stabile, magari con dei figli” e la relazione di una coppia clandestina: “L’approccio pastorale chiede di considerare queste differenze, di ascoltare e valutare, di dialogare con queste coppie senza sbattere loro addosso la dottrina”. Per mons. Solmi, il percorso da intraprendere deve essere “anzitutto di discernimento mettendosi loro accanto”. Solo così può iniziare “un percorso penitenziale di conversione”. Impossibile, comunque, quantificare gli interventi a favore o contro la comunione ai divorziati risposati, oggetto di una domanda. “Le sofferenze delle famiglie vanno ben oltre quelle dei divorziati risposati”, ha puntualizzato il patriarca di Gerusalemme richiamando le famiglie povere, migranti, in guerra, vittime di violenza e costrette a lasciare le proprie terre. Anche monsignor Coleridge ha assicurato di “non avere idea delle posizioni a favore o contro”, aggiungendo che “non è stato il tema importante del Sinodo” anche se alcuni interventi hanno auspicato un “gesto straordinario di misericordia” da parte di Francesco nel corso del Giubileo. A chi immagina contrapposizioni, mons. Solmi ha ribadito che il Sinodo “è un camminare insieme e non uno schierarsi contro”, alla fine del percorso “offriremo i nostri risultati al Santo Padre e sarà lui a orientarci”. Il presule ha auspicato che l’assise “possa diventare un segno forte per la nostra società e per i nostri Paesi che spesso dimenticano sistematicamente la famiglia”, che questa “possa assumere il suo ruolo ministeriale in modo forte, solenne ed efficace nella Chiesa” e che all’interno di quest’ultima “si cammini insieme, in vera sinodalità, pastori, persone consacrate, famiglie”.
In molti interventi è riemersa la necessità di un “nuovo linguaggio, che non sia solo una modifica cosmetica”, ha detto ancora mons. Coleridge, e di una “nuova prospettiva di ascolto”. Occorre trovare “un modo di esprimersi meno negativo ed escludente dell’attuale”. Anche mons. Solmi concorda sulla necessità di un linguaggio nuovo: “Diversi interventi – ha riferito - sono andati un questa direzione, non si tratta di una ideologia astratta ma di seguire Cristo. La misericordia deve essere riconvertita ad un significato attuale e comprensibile a tutti, così come il termine peccato”.
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