Lettera a Francois Jullien. Il cristianesimo è radice, non semplice risorsa
Nel volume "Risorse del cristianesimo", il noto filosofo francese propone una scissione tra filosofia e teologia, e considera il cristianesimo non come radice dell'Europa o valore, ma come semplice risorsa tra le altre. Ma già Ratzinger e Giovanni Paolo II avevano spiegato che non era così.
Il volume “Risorse del cristianesimo”, del filosofo francese Francois Jullien, ed. Ponte alle Grazie, 2018, si pone come antitesi alla Fides et Ratio di Giovanni Paolo II, soprattutto relativamente alla questione del rapporto tra il sapere filosofico e quello teologico. Il Papa polacco, nella sua enciclica, di cui si celebrano i trent’anni, aveva evidenziato il profondo legame tra la filosofia e la teologia, e tra queste e le altre aree del sapere, nella certezza che l’indagine sull’uomo e sull’assoluto, ovvero sul trascendente, abbia bisogno di tutte le possibili forme di conoscenza a disposizione. Allo stesso tempo – con un metodo di riflessione ripreso da Tommaso d’Aquino – Giovanni Paolo II riconosceva il valore primario della teologia, la quale, come discorso su Dio o di Dio, ha gli strumenti per indagare il divino e il religioso. Ciò detto, la filosofia ha una particolare e alta dignità, in quanto è capace di proporre pensiero e dimostrazione dell’essere e dell’esistere del trascendente.
Francois Jullien vuole superare l’impostazione di Giovanni Paolo II, rilevando “l’inutilità della questione dell’esistenza di Dio”, così postulando una “scissione tra filosofia e teologia”. Di più, perché Jullien avanza la possibilità di una filosofia del cristianesimo atea”.
Da qui il discorso si sposta sullo stesso titolo del volume. Jullien si chiede se sia corretto parlare di “radici” del cristianesimo in Europa. Si dà una risposta negativa. Per lui, più che di “radici” o di “valori”, si dovrebbe parlare di “risorse”.
Scrive il filosofo: “Radici cristiane dell’Europa? Come se l’Europa non avesse trovato parimenti le sue risorse nel promuovere una razionalità che si è erta contro la fede. Non si tratterà peraltro di negare quella che è l’importanza del fatto cristiano, in Francia come nella storia d’Europa; né quello che il cristianesimo porta iscritto in sé di storicamente localizzato; né quanto di tradizione ciascuna religione capitalizza necessariamente in sé. Bensì di rifiutare quel che “radice” presuppone quanto ad appartenenza ereditata e dipendenza”.
La posizione di Jullien non può essere accolta per più motivi. Anzitutto, storico, perché l’Europa è stata almeno pubblicamente cristiana fin dall’età costantiniana, pertanto il cristianesimo è nel dna del Vecchio Continente almeno da 1700 anni; i cristiani hanno “fatto” l’Europa, la loro presenza non può essere un fatto marginale. Si pensi alla battaglia di Lepanto.
Ancora storicamente, ma in termini di storia contemporanea, si deve ricordare che la Comunità Economica Europea nasce da una forte anima cristiana, la quale è fonte per realizzare in maniera sempre più forte e coesa l’identità del continente. In altri termini, l’Europa per diventare una società vera ha bisogno di attingere alle sue radici cristiane.
In terza istanza – senza per questo voler formulare classifiche – è evidente che rifiutare il termine “radice” conduca inevitabilmente a quel relativismo denunciato più volte da Benedetto XVI, perché decentra il cristianesimo riducendolo a un’opzione morale tra le altre – che a parere di Jullien neanche suscita più entusiasmo – facendone perdere il senso proprio, la sua certezza fondata sulla buona notizia.
Non è vero quanto sostiene Jullien, per il quale il cristianesimo non sarebbe più produttivo. Peraltro, non si può parlare in termini di produttività né di conversione, né di una gestione del personale. L’esperienza cristiana è oltre tutto questo, eppure non è un oltre privato, una risorsa tra le altre, ma è la radice del vivere nella comunità, a partire da quella familiare fino a quella religiosa, della società, del lavoro, della finanza. Il cristianesimo ha plasmato l’Europa, ma non lo ha fatto “senza Dio”: ecco perché non si può considerare inutile la questione dell’esistenza di Dio. I cittadini delle Nazioni europee non hanno storicamente pensato alla maniera groziana – “come se Dio non esistesse” – ma, al contrario, come suggerisce lo stesso Ratzinger, “come se Dio esistesse”, ed esistesse non come una sensazione intima, ma come un testimone pubblico.
Jullien sostiene che la risorsa del cristianesimo “si esplora e si sfrutta”. Ma il cristianesimo così inteso rischia di essere un “usa e getta” e non un habitus, un vestito identitario. Invece è esattamente il contrario, e lo è per la fede dei cristiani e per la cultura dei popoli. Il cristianesimo è evidentemente un fatto anche culturale. È un fatto giuridico e sacramentale, è un fattore sociale, è un valore perché ha un fine. Senza il cristianesimo l’Europa sarebbe completamente diversa. Inimmaginabile. E noi pure.
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