UNA BELLA STORIA...
Francesco, 16 anni dalla Nigeria al battesimo a Mendicino
Il suo sarà il primo che verrà celebrato nella nuova chiesa di Mendicino, intitolata a "Cristo Salvatore" e dedicata lo scorso 20 marzo. Il parroco, Enzo Gabrieli: "Facciamo il battesimo il giorno di Pasqua, il primo nella nuova chiesa, perché vogliamo dare un segno forte: la Chiesa è vera se apre il cuore ai poveri e agli ultimi". Il sostegno del vescovo, Salvatore Nunnari
“Quando sono arrivato, da migrante, in Italia, non pensavo di trovare così tante persone che mi avrebbero voluto bene”. Era il 2014 quando Francesco (è il nome che prenderà con il battesimo), oggi sedicenne, approdava sulle coste italiane dopo un tormentato viaggio dalla Nigeria. Ora, con lo status di rifugiato, è a Mendicino, in Calabria, e nella domenica di Pasqua, riceverà il battesimo. Uno Sprar della provincia lo ha accolto. La comunità ecclesiale abbracciato e reso occasione di crescita. Francesco da qualche mese frequenta gli scout della parrocchia San Nicola di Bari di Mendicino, ma ora avrà l’emozione più grande.
Il segno. Una grande festa, nella parrocchia, per Francesco. Questo il nome che assumerà con il sacramento, “in omaggio al nostro amato Papa che tanto interesse mostra per i migranti che sbarcano in Italia”, dice don Enzo Gabrieli, parroco di Mendicino. Il suo sarà il primo battesimo che verrà celebrato nella nuova chiesa del paese, intitolata a Cristo Salvatore e dedicata lo scorso 20 marzo. Per il giovanissimo è come se iniziasse una nuova vita. Nella fede. Una dimensione che vive già ora, da quando “ha compiuto nelle mani del vescovo, monsignor Salvatore Nunnari, la promessa scout”, come dice don Gabrieli. Il pastore bruzio ha seguito Francesco sin dall’inizio, fino a “concedere alla comunità mendicinese, in maniera straordinaria, di celebrare il battesimo nella parrocchia che lo ha accolto, pur essendo un catecumeno”. Grande il valore dell’evento, come ritiene don Gabrieli. “Facciamo il battesimo il giorno di Pasqua, il primo nella nuova chiesa, perché vogliamo dare un segno forte: la Chiesa è vera se apre il cuore ai poveri e agli ultimi”. La storia di Francesco richiama alla mente quella di tanti che giornalmente approdano sulle nostre coste. “Rappresenta, in una terra in cui tanti approdano disperati, una ricerca di speranza, che noi abbiamo tentato di accogliere - prosegue il sacerdote -: proviamo a dare un segno di apertura delle porte del cuore, non possiamo accogliere tutti, ma questa può essere una scintilla e un esempio”.
La storia. Francesco ha una bella storia da raccontare, la sua. Nonostante le traversie, la prova. Nonostante viva in un paese straniero, non perde mai il suo sorriso. Sta attento a chiunque passi, a chiunque lo incontri. A nessuno fa mancare il suo saluto. Ci ha fatto visitare la sua camera che condivide con un altro ragazzo, la cucina, la lavanderia, la stanza dove c’è la tv. Proviene dalla Nigeria. Proviene da una famiglia cristiana, ha un bel sentimento religioso. “Ho attraversato il Niger e la Libia - racconta -, dopo aver lasciato la mia nazione perché sogno la felicità. Il ragazzo è scappato da un orfanotrofio gestito da suore perché aveva paura di essere trovato. Alcuni parenti lo avevano affidato alle cure amorevoli delle religiose dopo la morte del padre ucciso da alcuni squadroni della morte che volevano tirarlo dentro una banda che commerciava le sacche di sangue. I persecutori, però, lo avevano individuato, così Francesco scappò nella città vicina, dove erano i parenti, che però non sono cristiani. “Non mi sentivo sicuro, sapevo che mi cercavano da qualche anno, sentivo che stavano per trovarmi”, continua.
Fuga verso la libertà. Per lui non era ancora la libertà. E così, di notte, dopo aver visto una specie di pubblicità su Facebook, Francesco scavalcò finestra e recinzione e scappò. Francesco prende il telefonino, mostra questa allettante “pubblicità… verso la libertà”. L’invito a cercare altrove fortuna, speranza e libertà. “Per questo ho raggiunto il luogo dell’appuntamento fissato sui social network e con qualche centinaio di euro ho trovato posto nel cassone di un camion”. Nello zaino aveva messo dei biscotti, dell’acqua, e qualche altra cibaria presa all’orfanotrofio. “Li feci bastare per le due settimane di viaggio”. Attraversarono mezza Nigeria, il Niger e la Libia fino a raggiungere le coste che si affacciano sul Mediterraneo. Qui, dopo aver atteso alcuni giorni e versato una nuova tranche di soldi, poté salire su un barcone di fortuna per attraversare il mare. “Partimmo con un mare calmo ma nella notte ci furono le prime difficoltà. Un freddo pungente, il vento ci tagliava la faccia e ci riparavamo uno con l’altro. Poi cominciarono le onde che ci sballottavano da una parte all’altra. Io cominciai a pregare. Dicevo solo: Gesù… Gesù. Nient’altro. Avevo paura di morire. Mi sentivo spacciato. Sembrava che la barca si stesse spezzando. Poi arrivarono le navi dei militari italiani e per noi fu la salvezza”. Infine, l’arrivo in Calabria.
In famiglia. Ora Francesco non vede l’ora di battezzarsi vicino agli amici che ha incontrato nel suo percorso di vita. Già vive quello che è il suo sogno, quello che lo ha accompagnato nel tempo: “Essere felice”. “Per noi Francesco è stato veramente un dono - dice don Gabrieli - perché mentre ci siamo sforzati di annunciargli, offrirgli il percorso di fede attraverso due catechisti adulti e due scout che gli faranno da padrini, allo stesso tempo la nostra fede si è rafforzata. Il percorso comunitario in cui abbiamo inserito Francesco ci ha fatto riscoprire il nostro battesimo”. Con i giovani e gli animatori della parrocchia “si è creato un rapporto molto bello, Francesco partecipa alle attività dei ragazzi”. Per ora non vuole tornare in Nigeria, anche perché è inserito a scuola. Aspetta i 18 anni per iniziare a lavorare: “Da grande vorrei fare l’elettricista”, confida. Intanto, ringrazia: “Perché mi volete bene. Pure io ve ne voglio”.
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