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Fermare il mercato di carne umana ascoltando il grido di sofferenza delle persone umiliate e vittime di barbarie

Giornata contro le tratte umane

Camminare insieme per combattere il commercio delle anime e per dare speranza a chi è afflitto da immani sofferenze

Giornata contro le tratte umane

Il tema della prossima Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone, che ricorre come sempre in data 8 febbraio, è “Camminare per la dignità: ascoltare, sognare, agire”. È un’espressione molto significativa che chiarisce bene i passi da compiere per scongiurare qualsiasi forma di abuso sulla persona, di maltrattamento fisico e psicologico e di commercio umano, finalizzati a produrre loschi vantaggi economici. Per prima cosa bisogna “ascoltare” il grido di sofferenza delle vittime della tratta e, in generale, di tutta l’umanità perché vendere carne umana è sinonimo di disuguaglianze e barbarie, di male estremo e di perdita dei valori. Il verbo “sognare” rimanda, invece, alle parole espresse da Papa Francesco nella “Fratelli tutti”: <<Non dobbiamo avere paura di “sognare come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana>>. Infine bisogna “agire” con <<coraggio e responsabilità, talvolta controcorrente>> , perché solo compiendo azioni rivolte al bene collettivo e all’amore universale la dignità degli esseri umani, unico e vero dono di Dio, sarà preservata. Ancora oggi, purtroppo, sono tante le forme di sfruttamento, che costringono i più svantaggiati (per prima cosa gli africani) a vivere in condizione di schiavitù, senza diritti né libertà, senza poter pensare né parlare, senza potersi definire come artefici della propria esistenza. Questi poveri sfortunati vengono attirati dalla falsa prospettiva di una vita migliore, per poi ritrovarsi intrappolati in un vortice di privazioni, di umiliazioni, di isolamento, di minacce, da cui a stento riescono a uscire. La storia della schiavitù è attestata sin dall’antichità in vari documenti legali, tra i quali il Codice di Hammurabi (1860 a.C.) che la concepì come un’istituzione formale comune a tanti popoli. Conosciuta da varie civiltà come quella sumera, la schiavitù fu praticata per tutto il Medioevo e divenne una prassi consolidata soprattutto dopo il 1600, ad opera di commercianti e avventurieri occidentali che compravano gli schiavi africani (tratta atlantica) e li rivendevano in America o in Europa, dove erano costretti a svolgere mansioni domestiche o agricole. Questa pratica fu all’origine della nascita delle colonie europee del Sud e Centro-America prima e del Nord-America poi. La tratta di esseri umani è un’attività illegale molto redditizia: 150,2 miliardi di dollari sono i profitti derivanti da questo fenomeno nel mondo, due terzi dei quali legati allo sfruttamento sessuale. Donne e ragazze sono particolarmente vulnerabili a causa di disuguaglianze socio-economiche, culturali e religiose.  Ecco perché bisogna attivarsi e creare una rete di protezione a livello globale, per far sì che tutto questo non accada più. Papa Francesco volle istituire questa giornata di preghiera e di riflessione nel 2015, in collaborazione con “Talitha Kum”, la rete internazionale impegnata nella lotta contro le tratte umane in tutto il mondo, fondata dall’Unione internazionale delle superiori generali (Uisg) e dall’Unione dei superiori generali (Usg) e che, ad oggi, conta più di 6000 suore, amici e partner. “Talitha Kum” è un’espressione presente nel vangelo di Marco che significa: “fanciulla, io ti dico, alzati”. È con queste parole che Gesù si rivolge alla figlia di Giairo, una dodicenne che giaceva apparentemente senza vita. Dopo aver pronunciato queste parole, il Messia la prese per mano e lei si alzò e camminò. La rete mondiale ha scelto quest’espressione per definire la sua identità, che individua nella compassione e nella misericordia le strade per accompagnare quanti sono feriti da varie forme di sfruttamento.  Migliaia di partecipanti si riuniranno quest’anno per riflettere e pregare contro questo triste fenomeno. Giovedì 8 si terrà un pellegrinaggio online di preghiera e riflessione contro la tratta che attraversa tutti i continenti e fusi orari. Sono 50 i paesi coinvolti e i protagonisti saranno in particolare i giovani, che faranno sentire il loro urlo contro questa piega da estirpare.

L’8 febbraio è anche importante perché la Chiesa fa memoria della morte di Santa Giuseppina Bakhita, la “Santa sorella Morena” protettrice degli schiavi, canonizzata da Giovanni Paolo II nel 2000, additata come “esempio di speranza cristiana” nell’Enciclica Spe salvi da Benedetto XVI e definita da Papa Francesco “testimone della forza trasformatrice del perdono di Cristo”. Questa ragazzina negra nacque nel 1869 in un villaggio del Darfur, nel Sud Sudan. Venne rapita all’età di sette anni da mercanti arabi di schiavi, divenendo merce umana e passando di mano in mano nei mercati di El Obeid e Khartoum. A causa del trauma subito dimenticò il proprio nome e quello dei suoi familiari. I suoi rapitori la chiamarono “Bakhita” che vuol dire “fortunata”. La piccola provò l’atroce sofferenza fisica, mentale e morale di chi vive in condizione di schiavitù, venendo sottomessa, umiliata, sbeffeggiata e ferita. Venne comprata nella capitale del Sudan da un console italiano, Callisto Legnani, che la portò in Italia e la consegnò ad un amico veneziano, Augusto Michieli, che ebbe compassione di lei. A Venezia ricevette un’educazione religiosa, frequentando l’istituto dei Catecumeni gestito dalle Suore Canossiane. Aveva ventuno anni quando, nel 1890, venne battezzata e ricevette la Cresima e la Prima Comunione dal Patriarca di Venezia, card. Domenico Agostini, decidendo subito dopo di non tornare più dai suoi datori di lavoro ma di intraprendere il cammino che l’avrebbe portata a servire Dio, unendosi all’ordine delle Figlie della Carità. Fu consacrata suora nel 1896 e trascorse tutta la vita a Schio, venendo amata dalle sue consorelle che la chiamavano “Suor Morena”. Ben presto la sua semplicità e la sua fama di santità si diffusero in tutta Italia e in tanti cercarono di conoscerla. Iniziò a girovagare per il paese, tenendo conferenze di propaganda missionaria. Dal 1939 iniziò ad avere seri problemi di salute e non lasciò più Schio, dove morì per una polmonite l’8 febbraio 1947. Questa “morèta”, “moretta” o “suora di cioccolata”, come la chiamavano i ragazzini, ebbe veramente una vita “fortunata” come disse proprio lei: “Se incontrassi quei negrieri che mi hanno rapita e anche quelli che mi hanno torturata, mi inginocchierei a baciare loro le mani, perché se non fosse accaduto ciò, non sarei ora cristiana e religiosa”. L’Unità Pastorale di San Pietro-Santa Lucia di Rogliano, in accordo con l’Istituto delle Suore Canossiane, ha celebrato in questi giorni un triduo in onore a Bakhita, che culminerà nella solenne cerimonia liturgica dell’8 febbraio presso il Duomo di San Pietro, con l’esposizione dell’effigie e della reliquia della santa.

 

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