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I due capolavori sono un esempio di dialogo profondo e diretto tra mondo artistico e religioso

In mostra a Roma il Crocifisso di Dalì

La chiesa di San Marcello al Corso ospita l’opera del maestro catalano e il disegno-reliquia di San Giovanni della Croce

In mostra a Roma il Crocifisso di Dalì

Prepararsi a vivere intensamente il Giubileo “Pellegrini di speranza” vuol dire dare spazio, nella propria quotidianità, alla preghiera, alla riflessione e alla meditazione del vangelo. Tra le iniziative organizzate al fine di rendere fecondo il cammino verso quest’evento di grazia c’è la mostra “Il Cristo di Dalì a Roma”, allestita presso la Chiesa di San Marcello al Corso. È stata inaugurata lo scorso 13 maggio alla presenza, tra gli altri, di monsignor Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, il quale ha detto che “il Giubileo è un’esperienza spirituale che assume in sé anche l’esperienza culturale, formando due realtà unite, che conferiscono godibilità all’evento prossimo dell’Anno Santo, attraverso quella bellezza che incarna l’esperienza mistica che è l’incontro con Dio”. Protagonisti di quest’esposizione, che è parte della rassegna artistica “I Cieli Aperti”, sono il “Cristo di San Juan de la Cruz” di Salvator Dalì e il disegno-reliquia di San Giovanni della Croce. Intorno a questi due preziosi gioielli è stata innalzata un’architettura essenziale ad opera dell’architetto Roberto Pulitani. L’opera del pittore catalano, giunta a Roma dal Kelvingrove Art Gallery di Glasgow in Scozia dov’è custodita, è un esempio del grande virtuosismo e della genialità del suo creatore, una delle figure più importanti, bizzarre e tormentate della storia dell’arte contemporanea. Ha realizzato numerosi capolavori tra cui “La persistenza della memoria”, “Gli Elefanti” e “Galatea delle Sfere”, nei quali evidenzia il suo approccio al Surrealismo esaltando il surreale, il sogno, l’inconscio, l’amore e la follia. Più in basso rispetto al quadro è esposta una teca rossa contenente il disegno-reliquia di San Giovanni della Croce, conservato nel Monastero de la Encarnación di Ávila. Quest’ultimo esemplare fu prodotto dal carmelitano Juan de Yepes Álvarez, vissuto nella seconda metà del cinquecento, durante uno dei suoi momenti di misticismo. Quest’immagine disegnata con rapidi tratti a inchiostro su un pezzetto di carta, racchiuso dal giro d’oro del reliquiario, è stata fonte di ispirazione per il dipinto di Dalì. Sull’altare maggiore della Chiesa di San Marcello al Corso vi è un drappo, sul quale sono riportate le parole che Dio rivolse a San Giovanni: “Se vuoi una parola di speranza, fissa lo sguardo in Lui solo. Vi troverai più di quanto desideri”. “Giovanni tratteggiò la figura del Signore in croce, come lui lo aveva visto durante un’estasi, mentre il Padre gli parlava del grande dono d’amore di suo Figlio” ha spiegato don Alessio Geretti, curatore della mostra. Il Cristo nello schizzo del co-fondatore dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi è afflitto dal dolore, ha il capo riverso, le braccia stirate e le mani trafitte dai chiodi. Dalì ebbe modo di osservare questo bozzetto ad Ávila nel 1948, mentre viveva un periodo di forte stravolgimento spirituale, causato dalle due esplosioni di Hiroshima e Nagasaki del 6 e 9 agosto 1945. Superò questo momento riscoprendo la fede cattolica e vedendo nell’ “Atomo-Cristo” la materia redenta che fa nuove tutte le cose e che è il cuore dell’intero cosmo. Decise allora di realizzare il suo capolavoro nel 1951, partendo proprio dall’ispirazione offerta da quel piccolo frammento di carta. L’opera di Dalì presenta Cristo in croce non da un punto di vista frontale né laterale o da sotto in su, come nell’iconografia tradizionale, ma dall’alto verso il basso con gli occhi del Padre Eterno. La croce sembra proiettata in una sorta di sospensione metafisica, è appesa, immobile e primeggia in tutto lo spazio. Il Crocifisso non presenta i segni del martirio (non ha né i chiodi, né la corona di spine sul capo né c’è sangue) e non cade pur distaccandosi dalla croce, andando contro la legge gravitazionale, perché “sceglie” di vivere l’estremo dolore. Il cartiglio sulla croce non reca alcuna iscrizione, perché è come se ci fosse scritto che tutta l’umanità partecipa alla sua crocifissione. La sua sofferenza sta nel peso che lo tira e lo trascina. Gesù è salito in cielo con la croce e porta con sé la luce di Dio che irradia anche la sezione sottostante, nella quale è dipinta una baia tranquilla soffusa di luce con una barca e due pescatori (la spiaggia di Port Lligat, luogo dove viveva l’artista). Questo specchio d’acqua è simbolo del porto di salvezza per l’umanità intera, nonché prefigurazione di Pietro e della Chiesa che cammina nel mondo sotto la luce divina. Il Cristo pendente sul mondo al buio è l’emblema dell’amore donato gratuitamente agli uomini, della speranza, della liberazione dalle tenebre, della gioia e della bellezza. È ritratto secondo l’iconografia del “Cristo triumphans” dei primi secoli cristiani, quando allo “scandalo della croce” si preferiva mostrare la gloria del Risorto, vincitore sulla morte. L’artista catalano prese a modello lo stuntman e acrobata hollywoodiano Maurice Saunders, dipingendo “un corpo da divinità greca, una sintesi di bellezza, di genio, di spiritualità, di mistero” ha aggiunto don Geretti. “Prima di tutto nel 1950 vidi un sogno cosmico nel quale il quadro, che mi appariva a colori, rappresentava il nucleo dell’atomo. Questo nucleo assunse più tardi un significato metafisico, io vi vedo l’unità dell’universo: Cristo … Costruii geometricamente un triangolo e un cerchio, il riassunto estetico di tutte le mie precedenti esperienze, e iscrissi il mio Cristo in questo triangolo” disse proprio l’artista. In quest’anno di preghiera, in vista del giubileo del 2025, siamo chiamati a riflettere, con più intensità, sul significato della croce che resta salda e ci richiama all’amore di Dio, nonostante le divisioni e le guerre in corso. Le due opere, l’una specchio dell’altra, permettono di vivere una vera e propria esperienza contemplativa davanti a Gesù e di fissare lo sguardo su di Lui, che ci indica la via per giungere al Padre aiutandoci ad attraversare le tenebre del peccato. L’opera di Dalì e quella del suo ispiratore carmelitano offrono un dialogo profondo tra arte e fede. La visita alla mostra diventa ancora più intensa per la presenza, nel medesimo edificio religioso, di altre opere tra cui l’antico crocifisso miracoloso, simbolo del “Cristo patiens” sofferente, a cui i fedeli si sono sempre rivolti per richiedere grazie, dopo eventi funesti come la peste che colpì Roma nel 1522. La mostra è visitabile gratuitamente fino al 23 giugno.

 

 

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