Totti e la Roma
Una disputa stile “Orazi e Curiazi” con il presagio che alla fine di questa faida avranno perso un po’ tutti.
Un caso non isolato quello di Francesco Totti: un campione, un simbolo per la sua squadra e la sua città che vede inesorabilmente passare il tempo, ma che fatica a rassegnarsi alla pachina, si rifiuta di restare ai margini di quello che una volta era il suo impero: sono giorni che Roma si consuma, dividendosi, nella polemica tra il grande (e vecchio) campione e una società che attraverso l’allenatore Spalletti deve fare i conti con anagrafe e classifica prima ancora che con l’ombra ingombrante del suo capitano.
Prima lo sfogo in tv, poi la cacciata dal ritiro e la non convocazione, atti entrambi plateali ed evitabili, quindi il tentativo di ricomporre da parte di tecnico e società, mentre nella Capitale infuriava una disputa stile “Orazi e Curiazi”, con il sottile presagio che, alla fine di questa faida giallorossa, avranno perso un po’ tutti. Eppure casi come quelli del “Pupone” (che nel frattempo è tornato nei ranghi a Trigoria per gli allenamenti) non sono poi così rari: il vecchio campione che chiede rispetto, la società che si inchina alla storia, ma poi deve anche guardare all’attualità, con giocatori che corrono e giocano oggi più di un 39enne. Basta vedere cosa accadde tre anni fa con Del Piero, anch’egli a un bivio e con la società che però, anche confortata da risultati che invece oggi alla Roma mancano (particolare non trascurabile, nonostante la recente striscia positiva), ebbe la forza di voltare pagina, con una tifoseria inizialmente spaccata, ma che poi passò dalla parte di Agnelli e della dirigenza. Facendo un salto indietro di quarant’anni, i più maturi ricorderanno quando l’allora presidente del Milan Albino Buticchi ipotizzò la cessione di Gianni Rivera al Torino in cambio di Claudio Sala: anche allora il Golden Boy prese cappello, lasciò il ritiro e si ritirò sull’Aventino, salvo tornare con un finanziatore, decidendo di comprarselo, il Milan (con conseguenze non proprio idilliache per il club rossonero). Poi ci sono i casi virtuosi, come Pavel Nedved, cooptato nel bureau degli attuali vertici juventini, oppure Brian Giggs, divenuto allenatore in seconda dello United. Pochi però in Italia i casi di grandi leggende in campo utilizzate come ambasciatori del club nel mondo: ci riuscì benissimo il Real Madrid con Alfredo Di Stefano, vera icona del “madridismo” fino alla sua scomparsa e ancora adesso il Manchester United con sir Bobby Charlton, impegnato anche a far crescere le schiere di milioni di tifosi dei Red Devils a livello planetario.
Più spesso però vecchio campione e club entrano in rotta di collisione, anche perché il primo ritiene ormai di far parte integrante della società, mentre la seconda deve fare i conti con gli obiettivi stagionali. L’epilogo può regalare sorprese impensate: così è accaduto che l’Inter accantonasse velocemente un campione del mondo come Beppe Bergomi, o che Maldini venisse contestato da parte dei tifosi milanisti più caldi al suo passo d’addio, mentre all’estero anche i vari Casillas, Keane e Raul sono stati vittime di “strappi” con quel club che ritenevano un po’ la loro “seconda pelle”. Comunque andrà a finire stavolta, è bene che gli attori di questa vicenda si ricordino sempre che stiamo parlando di sport e ci saranno tanti piccolissimi tifosi a cui devono rispondere, con l’esempio sul campo, ma anche con le azioni quotidiane fuori dal rettangolo di gioco.
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