Marisa Manzini: non può esserci nessun contatto tra la criminalità e la religione
Intervista al procuratore aggiunto di Cosenza, eletto membro del Dipartimento per l’analisi e il monitoraggio dei fenomeni criminali e mafiosi della Pontificia Accademia Mariana Internazionale. “L’impegno della CEC in questi anni è stato importante”.
Lo scorso 18 settembre, a Roma, presso il Museo delle Civiltà, è stato presentato il “Dipartimento per l’analisi e il monitoraggio dei fenomeni criminali e mafiosi” della Pontificia Accademia Mariana Internazionale. Obiettivo, “liberare la figura della Madonna dall’influsso delle organizzazioni malavitose”. Tra i membri della task force, anche Marisa Manzini, procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Cosenza. L’abbiamo intervistata.
Qual è, dal suo punto di vista, l’apporto che un magistrato calabrese come lei può dare a questa Commissione?
Sono anzitutto onorata di essere stata individuata come magistrato che possa portare, attraverso la sua esperienza, degli elementi di utilità per affrontare i temi oggetto del Dipartimento. Ho esperienza presso la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, dove ho svolto per anni numerosi indagini sulla mafia del territorio vibonese, che in Calabria è una delle organizzazioni criminali tra le più forti e le più violente. Conosco, per avervi svolto il ruolo di sostituto procuratore, il difficile territorio di Lamezia Terme. Attualmente sono a Cosenza, dove la criminalità è un po’ diversa, è quella dei colletti bianchi, ma risente molto dell’influenza delle organizzazioni criminali del territorio. Il mio sarà uno degli apporti, da realizzare mediante un confronto con gli altri membri nominati.
Quale la missione del Dipartimento?
Siamo chiamati a elaborare una strategia per dare alla gente un messaggio chiaro: non ci può essere alcun tipo di contatto, non solo commistione, tra religione e criminalità mafiosa.
A cosa servono le manifestazioni religiose alle organizzazioni criminali? Perché ci tengono tanto?
Ci tengono tanto perché la religione è una forma di cultura, forse quella più diffusa, soprattutto nel Mezzogiorno. Lo dimostra il fatto che ci sono tante persone analfabeti ma che conoscono bene i precetti religiosi. Utilizzare la religione, strumentalizzarla a fini propri, significa ottenere consenso popolare. Su questo la ‘ndrangheta, ad esempio, si fa forza. Se poi si accostano riti religiosi a riti ‘ndranghetisti si fa una tale confusione che la gente tende in qualche modo ad avvicinarsi all’organizzazione criminale perché la sente vicina alla sua cultura. Pensiamo ai famosi inchini e alle processioni sotto le abitazioni dei boss. Pensiamo a questo ma anche all’utilizzazione dei termini religiosi. Ad esempio, quello di “battesimo”. Per le cerimonie svolte all’interno della ‘ndrangheta, poi, viene anche fatto uso dei santini. Così, tali cerimonie si riportano a quelle religiose, ma sono lontane anni luce da esse.
Questo Dipartimento può assumere un ruolo significativo.
Dovrebbe assumere proprio questa linea di pensiero, quella di mettere insieme diverse professionalità, provenienti da estrazioni completamente differenti, per realizzare un’azione comune, anzitutto quella di far comprendere alle giovani generazioni, che si devono formare, di doverlo avendo le idee chiare. Questo non deve significare, però, lasciare da sole le persone più adulte.
Come agire a livello di formazione?
Con l’avvio di questa nuova attività, abbiamo l’idea di incontrarci per elaborare un progetto che ci consenta di entrare nel mondo dei giovani e confrontarci con loro per far conoscere cosa significhino criminalità organizzata, ‘ndrangheta, mafia. Eppure tanto è stato fatto in questi anni, sia da parte dello Stato che da parte della Chiesa.
È importante agire in sinergia?
Assolutamente sì. Mantenendo la distanza necessaria tra le Istituzioni, la collaborazione è indispensabile. Quello dello Stato e quello della Chiesa sono due mondi che si devono incontrare per collaborare insieme.
Secondo la sue esperienza, come è cambiato il rapporto della criminalità organizzata con la religione e allo stesso tempo l’impegno della Chiesa nel contrasto alle mafie?
Sicuramente la criminalità organizzata continua a mantenere fermi i propri principi immorali e a usare simboli, terminologia e riti religiosi. Lo abbiamo visto anche dopo la visita e l’intervento di papa Francesco a Cassano (21 giugno 2014, ndr), perché ci sono stati altri inchini e situazioni attraverso cui la criminalità ha manifestato la volontà di fagocitare la religione. Sicuramente da parte del mondo cattolico e religioso c’è una presa di coscienza molto più importante, espressa ad esempio anche dalla stessa Conferenza episcopale calabra, che ha preso delle posizioni di assoluta distanza dalle mafie, nonché di impegno nel combattere la criminalità organizzata. Non possiamo negare però che nei nostri territori, malgrado ciò, c’è il rischio di momenti di vicinanza dei sacerdoti alle organizzazioni criminali, soprattutto nei paesi piccoli. Anche la Chiesa deve continuare a fare, al suo interno, un’opera di sensibilizzazione forte.
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