Nasa e Unical per arrivare sulla Luna
Il professore Alfredo Garro è tra gli ideatori dello standard di comunicazione SpaceFOM. Di recente è stato siglato un primo accordo tra il Dimes e una realtà europea che partecipa al programma Artemis.
Il programma Artemis- avviato dalla Nasa per portare sulla Luna "la prima donna È il prossimo uomo" entro il 2024 e partire da lì alla conquista di Marte- si realizzerà anche con il contributo dei ricercatori dell'Università della Calabria. Il programma, infatti, utilizza SpaceFOM, uno standard di comunicazione che consente ai moduli diversi di una missione spaziale di comunicare tra di loro. Tra i suoi principali ideatori e autori c'è Alfredo Garro, professore associato di Ingegneria informatica dell'Unical. Lo abbiamo intervistato.
È stimato che nei prossimi tre anni un uomo e per la prima volta una donna, grazie anche al suo contributo, metteranno piede sulla Luna. Qual è la sensazione?
Sono trascorsi circa 50 anni dalla missione Apollo 17, subito dopo l'esperienza lunare cadde quasi nel dimenticatoio. Negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno deciso di investire nuovamente nell’esplorazione dello Spazio con equipaggio umano. Il primo obiettivo è riconquistare la Luna collaborando con le altre Nazioni e per dar vita ad un insediamento umano che possa servire per future esplorazioni di altri corpi celesti, una sfida che ci consente di affrontare problemi complessi definendo soluzioni che avranno di certo ricadute concrete sulla vita quotidiana di ognuno di noi. Credo, infatti, che, al di là della riconquista della Luna e dell'insediamento su di essa ci saranno ricadute notevoli che miglioreranno la qualità della vita sulla Terra. Poi, grazie al programma Artemis metterà piede per la prima volta sulla Luna una donna; ormai negli equipaggi le donne ricoprono ruoli importanti, mi piace che simili programmi mettano al centro politiche inclusive. Vivere di persona l'allunaggio sarà un'emozione grandissima.
Il programma Artemis prevede l'adozione di SpaceFom, di cosa si tratta?
Artemis è il programma avviato dalla Nasa per portare sulla Luna la prima donna è il prossimo uomo entro il 2024 e poi partire alla conquista magari di Marte. È un programma ambizioso, finanziato con 35 miliardi di dollari dal Governo americano, che coinvolge le azenzie spaziali Europea (Esa), Italiana (Asi), Giapponese (Jaxa), Britannica (UK Space Agengy) e Canadese (Csa) e punta fortemente alla cooperazione tra i diversi partner internazionali. Per simulare missioni così complesse e consentire ai diversi moduli della missione di interagire e comunicare tra di loro, il programma utilizza lo standard SpaceFOM (Space Federation Object Model) in cui sono descritte e specificate le modalità che permetteranno ai moduli sviluppati dai diversi partner di interarigire ed interoperare tra di con successo sia nelle fasi di progettazione che nelle fasi di implementazione e dispiegamento della missione.
Quali i tempi di realizzazione per arrivare a SpaceFom?
Per arrivare a SpaceFom è stato necessario un lungo tempo di sviluppo; abbiamo dovuto considerare diversi aspetti. Si tratta di oggetti che possono lavorare nella vicinanza di diversi corpi celesti, quindi va gestita la collocazione spazio-temporale degli oggetti che partecipano alla missione; c'è da gestire l'avanzamento del tempo, una serie di problematiche dovute alla comunicazione e allo scambio di informazioni eterogenee che avvengono tra i diversi oggetti che partecipano alla missione. Si tratta di un lavoro che ha coinvolto diversi ambiti di studio e approfondimento. Il Comitato internazionale di standardizzazione, di cui sono stato vice presidente, ha iniziato le sue attività nel 2015; lo standard nella sua prima versione è stato approvato e rilasciato nel febbraio 2020 ed è stato incluso come elemento chiave del programma Artemis nei primi mesi del 2021.
Chi ha collaborato con lei?
I moduli dei diversi partner operano nei propri laboratori e quindi la simulazione è geograficamente distribuita su tutto il pianeta. Occorre affrontare diverse problematiche dovute alla natura distribuita della simulazione: essa prevede una l'infrastruttura unica a cui i vari partner si connettono dai propri laboratori partecipando allo scenario di simulazione. È stato essenziale coinvolgere diversi attori; la Nasa ha lanciato l'iniziativa, è stato uno sforzo internazionale che ha visto per l'Europa vari atenei: l'Università della Calabria, l'Università di Liverpool, l'Università di Bordeaux, vari centri di ricerca francesi; nelle ultime fasi è stata coinvolta l'Università di Roma Tor vergata, poi i centri americani, le agenzie spaziali e le diverse aziende fornitrici di tecnologie e operanti nel settore aerospazio. È stato uno sforzo collettivo, sono stato onorato di essere stato eletto vice presidente del Comitato internazionale di standardizzazione, Comitato che si è riunito settimanalmente durante i cinque anni di sviluppo dello standard. Attualmente sono vice presidente del comitato internazionale che promuove e supporta l’adozione delo standard.
La partecipazione al programma Artemis è certamente frutto di studi ed esperienza. Qual è stato il suo percorso?
È un sogno che si realizza. Sono sempre stato appassionato di scienza e ingegneria. Sono laureato in Ingegneria informatica e ho svolto la tesi di laurea presso il Centro di ricerca Telecom Italia di Torino dove ho lavorato per 2 anni; nel 2001, il professore Domenico Saccà mi informò della possibilità di svolgere il dottorato di ricerca all’Unical, dopo il dottorato, nel 2005, presi servizio come ricercatore fino al 2011, anno in cui divenni professore associato. Durante una conferenza in Florida, grazie al professore Agostino Bruzzone dell’Università di Genova seppi del progetto SEE guidato da Nasa, una competizione tra gruppi di ricerca universitari per simulare un insediamento lunare: ogni gruppo doveva realizzarne uno o più moduli che dovevano essere in grado di funzionare in modo integrato. Ho supervisionato un team di ricerca dell’Unical che coinvolgeva studenti e dottorandi, il team nel 2015 vinse 2 premi: il Premio per l'eccellenza tecnologica e il “Wow Award” per la “sorpresa” suscitata dalla qualità della simulazione realizzata. Grazie alla qualità del lavoro svolto, quelli della Nasa hanno invitato me e lo sviluppatore principale, Alberto Falcone, a trascorrere un periodo al NASA Johnson Space Center (JSC) di Houston, dove abbiamo lavorato per circa un anno. Fu un periodo bellissimo durante il quale incontrai Luca Parmitano e Paolo Nespoli che si addestravano al JSC per le loro future missioni, ricevemmo anche la visita del Presidente Mattarella; siamo stati i primi europei ad essere ospitati al Nasa JSC di Houston presso la divisione “Software, Robotics and Simulation” a seguito di uno specifico “Visiting Research Agreement” tra la Nasa e, nel nostro caso, l’Unical.
Per progettare missioni così complesse è necessario disporre di avanzate tecnologie di simulazione…
Per simulare scenari così complessi bisogna disporre di tecnologie di simulazione avanzate, è importante l'adozione di standard internazionali. Sulla tecnologia di base vengono costruite tecnologie accessorie che consentono di simulare la missione in ogni dettaglio. È essenziale simulare la fisica del sistema solare, il comportamento dei vari moduli, le interazioni, la parte di visualizzazione tridimensionale degli scenari di missione. Sono simulazioni che devono avere, inoltre, la capacità di gestire il tempo in modo flessibile ed accurato.
Grazie ad Artemis si potranno stringere accordi industriali e rafforzare gli studi per nuove attività spaziali, una grande opportunità per l'Università della Calabria…
È una delle ricadute attese per il territorio. L'università, dal momento della sua fondazione, si è trovata di fronte alla sfida di contribuire allo sviluppo e alla crescita del nostro territorio. Mi piacerebbe che nascesse qualche realtà imprenditoriale legata a quello che stiamo facendo; l'Università in questo è molto attiva, ci sono spin-off ad alta tecnologia, alcuni già acquisiti da importanti realtà industriali;pensiamo a NTT Data che ha 3 Laboratori di Ricerca nel mondo situati, aTokyo (in Giappone), a Palo Alto (in California), e nella nostra Rende, dove lavorano più di 200 ingegneri, gran parte dei quali si sono laureati all’Unical. Sono, quindi, certo che si possano stringere accordi industriali; difatto, pochi giorni fa il direttore del Dimes, il prof. Stefano Curcio, ha siglato un primo accordo con un'importante realtà europea che opera nel settore della Aerospazio e che partecipa al programma Artemis per essere supportata nell'utilizzo della tecnologia scelta da Nasa.
L'Università si è dimostrata pronta a questa sfida?
L’Unical rappresenta un’eccellenza ormai riconosciuta e apprezzata in svariati settori,; il Dimes, ad esempio, ha ottenuto un punteggio pari a 99,5 su 100 in una valutazione indetta dal Miur qualche anno fa e che gli ha assegnato lo status di “Dipartimento di eccellenza”. L’Unical ha creato le condizioni per permettere ai suoi ricercatori di competere a livello internazionale, quindi possiamo dire che si è rivelata pronta. Occorre però essere elemento propulsore per la crescita del territorio, abbiamo tante eccellenze, tante conoscenze e competenze da trasferire al territorio che mi auguro sia pronto non solo a richiederle ma anche ad accoglierle affinché portino stabilmente frutto.
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